Riassunto "Lo Shinto: Una nuova storia" di Breen J. Teeuwen M.

Religioni e Filosofie dell'Asia Orientale - D. Rossi

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    Lo Shinto: Una nuova storia
    di Breen J. Teeuwen M.


    Un approccio alternativo alla storia dello Shinto.

    Lo Shinto è la religione dei santuari (jinja, jingu), distinti da quelli buddhisti per la loro particolare architettura, così come le vesti dei sacerdoti erano diverse da quelle dei monaci buddhisti.
    I santuari non sono altro che le dimore delle divinità (kami), totalmente differenti dai buddha e dai bodhisattva.
    Lo scopo principale dei santuari è essere il luogo in cui vengono eseguite la moltitudine di cerimonie che caratterizzano lo shinto.
    Seppur lo shinto sia la religione più diffusa in Giappone, solo una piccola percentuale della popolazione si autodefinisce "shintoista", e pochissimi riconoscono nello shinto la propria identità religiosa.
    Eppure i santuari sono largamente considerati dal popolo giapponese, come "enti religiosi con personalità giuridica".

    La loro sopravvivenza dipende dagli abitanti della zona grazie al loro sostegno economico, alle organizzazioni dei fedeli e alle associazioni di vicinato.
    I santuari possono avere un sacerdote stabile, ma la maggior parte (di quelli minori) è mantenuta e gestita da persone del luogo oppure da un sacerdote che si occupa di più santuari contemporaneamente. I santuari più grandi invece vantano un personale molto ampio.

    Il luogo più importante del santuario è il padiglione dei kami (shinden), un semplice edificio in legno e/o muratura, in stile tradizionale, in cui si crede dimorino le divinità principali, racchiuse negli "oggetti dei kami" che vengono nascosti alla vista.
    Di fronte a questo troviamo il padiglione per la preghiera (haiden).
    Solo i sacerdoti possono avvicinarsi al santuario e spesso anche loro vi accedono di rado.
    Spesso l'area intorno alle due sale ricorda un parco o una piccola foresta spontanea.
    Prima di accedere al padiglione della preghiera si passa sotto il torii, ci si sciacquano le mani e la bocca in una vasca.
    È presente un ufficio del santuario (shamusho), dove è possibile richiedere l'officiazione di un rituale o acquistare tavolette da offrire ai kami, amuleti e altri souvenir.
    Presso il padiglione della preghiera c'è una cassetta per le offerte, dove si lasciano monetine, si battono le mani e si fa un inchino in preghiera.

    Nei santuari vengono officiati tre tipi di rituali:
    – preghiere per singoli individui o famiglie, come l'hatsumode (a Capodanno), l'hatsu miyamari (prima visita a un santuario di un neonato) e lo shichi go san (visita al santuario per celebrare il terzo, quinto e settimo compleanno del bambino), in cui un sacerdote intona una preghiera (norito) e le miko danzano di fronte all'altare;
    – rituali di natura imperiale, che hanno luogo simultaneamente in gran parte dei santuari, come il kinensai (17 febbraio, dove si prega per il raccolto dell'anno) e il niiname-sai (23 novembre, per ringraziare del raccolto);
    – feste dei santuari (matsuri), rispecchiano tradizioni locali, possono durare molti giorni, simili a feste di quartiere, animano la zona.
    Sono comuni le processioni, dove il kami viene trasferito in un palanchino (mikoshi) e trasportato per l'area circostante al santuario, intrattenuto con danze, rappresentazioni teatrali, incontri e gare.
    La visita dell'anno nuovo è simile alla festa buddhista dell'obon, in cui si rende omaggio agli spiriti dei morti. In realtà per molti questi momenti, che fanno parte delle feste stagionali, c'entrano poco con religione e fede.


    Lo Shinto come pratica dei santuari.

    1946: fondazione del NAS (National Association of Shrines) un'associazione di coordinamento, era un periodo in cui non era certo che lo shinto sarebbe sopravvissuto. I fondi erano inesistenti e molti dirigenti venivano epurati dalla vita pubblica. Lo shinto non era al passo con i tempi e si pensava non sarebbe stato adatto ad un Paese nuovo e democratico. Ma la maggior parte dei santuari riprese a prosperare appena terminò questo duro periodo di ristrettezze economiche.

    Tra quelli che si adoperarono a salvare il sistema dei santuari vi furono tre fazioni principali:
    – guidata da Ashizu Uzuhiko, lealista imperiale e attivista, che inquadrava lo shinyo in un contesto politico, insistendo sul ruolo che aveva nell'unione il popolo giapponese sotto la guida spirituale dell'imperatore;
    – guidata da Yanagita Kunio, che rifiutava la teoria che alla base dello shinto ci fosse un'ideologia centralista e imperialista, sottolineando il valore spirituale delle tradizioni locali di venerazione dei kami;
    – guidata da Orikuchi Shinobu, il quale sosteneva che lo shinto avrebbe dovuto evolversi da religione etnica a religione universale.

    Lo shinto era un costrutto politico volto ad inculcare lo "spirito nazionale" nel popolo, un complesso di feste e rituali locali, e comprendeva alcuni gruppi religiosi.


    Il periodo Meiji e la formazione dello Shinto come culto di Stato.

    La formazione dello shinto moderno avvenne tra il 1868 e il 1915 (anno dell'inaugurazione del santuario Meiji a Tokyo).
    Con l'abolizione dello shogunato c'era la necessità di un nuovo regime che doveva fondarsi sul principio di "unità di riti e governo", così tutti i sacerdoti vennero posti sotto l'autorità dello Jingikan (consiglio per i kami, un'antica istituzione riportata in vita). Il consiglio fu posto simbolicamente a capo di tutti i santuari. In seguito vennero separati dal buddhismo, che invece fu bandito.
    Inoltre l'espansione occidentale portava un senso di crisi nel Giappone che temeva il cristianesimo.
    Il nuovo shinto era anche un mezzo per dare più visibilità all'imperatore il quale era l'unico pilastro dell'unità nazionale.
    I santuari vennero ridefiniti come luoghi per la commemorazione degli eroi nazionali. Colonna centrale era Ise, il santuario dedicato ad Amaterasu.
    La nomina dei sacerdoti iniziò ad essere regolata dallo Stato, che divenne il padrone stesso dei santuari, ormai luoghi per la celebrazione dei rituali di Stato. La celebrazione di tali rituali mirava ad unire il popolo con l'imperatore in un atto comune di culto degli antenati, pari ad una "riunione" familiare.

    I contorni dello shinto iniziarono a farsi più chiari: riguardava i santuari, l'imperatore e il Giappone, il suo confine con il buddhismo era demarcato. Eppure rimaneva un concetto ancora vago.
    I teorici dello shinto erano in disaccordo persino sulle questioni basilari.
    Era chiaro che l'unità nazionale non sarebbe stata raggiunta estromettendo i buddhisti.

    1872: il Consiglio per i Kami fu soppresso e sostituito dal Ministero dell'edificazione, che coordinò una nuova campagna al fine di diffondere il "magnifico insegnamento".
    Furono messi in rilievo solo tre principi generali:
    – il rispetto per gli dei e l'amore per il Paese;
    – l'osservanza dei principi del cielo e della via degli esseri umani;
    – il rispetto per l'imperatore e l'obbedienza al suo governo.

    Anni '70: la situazione politica si stabilizzò.
    Gruppi buddhisti si opposero all'obbligo di venerare divinità che non avevano mai fatto parte della propria tradizione. Adottarono la parola "religione", sostenendo che lo shinto non apparteneva a quella categoria, che i santuari erano solo luoghi per i rituali (e non per la religione), e vedendola solo come espressione di rispetto per i grandi uomini che avevano costruito la nazione.
    Ciò portò a contrasti.

    1882: il governo adottò misure drastiche, vietò ai sacerdoti di partecipare a qualsiasi attività religiosa (predicare, officiare rituali ecc.); due anni dopo la campagna del "magnifico insegnamento" fu abbandonata.

    Dopo le guerre sino-giapponese e russo-giapponese, i santuari ebbero nuove possibilità di rendesi utili agli occhi del governo.
    I caduti delle due guerre furono venerati all'interno di nuovi santuari militari.
    Migliaia di santuari di villaggio furono accorpati con l'intento di mantenerne uno solo per ogni comunità.
    Venne introdotto un nuovo sistema di finanziamento e la liturgia shinto venne uniformata per legge.

    1912: morte dell'imperatore Meiji, nel centro di Tokyo venne costruito un santuario in suo onore e dell'imperatrice.

    Fino al 1945 lo shinto sarebbe stato il culto di Stato "non religioso".
    I cambiamenti portarono all'eliminazione dei precedenti legami col buddhismo, molti santuari scomparvero, mentre altri furono eretti. I santuari pre-Meiji venivano spesso ridisegnati, assumendo un nuovo nome e una nuova identità.
    Con la scomparsa degli antichi lignaggi sacerdotali, le tradizioni locali andavano perdute e le procedure uniformate a quelle di Tokyo.
    I santuari perdevano le tradizionali fonti di reddito, adattandosi a un nuovo contesto sociale.
    I rituali di natura imperiale e quelli per singoli e famiglie, furono prodotti in questo periodo.
    Nel dicembre 1945, gli americani proclamarono la "Direttiva sullo shinto" che intendeva porre fine alla propaganda militarista e nazionalista, proibendo i contributi finanziari ai santuari dai fondi pubblici. Allo stesso tempo offriva ai santuari una nuova possibilità di sopravvivenza, come organizzazioni religiose private.

    1946: i santuari vennero registrati come enti religiosi con personalità giuridica.


    Lo shinto come folklore.

    La maggior parte delle feste shinto non riguardano principalmente temi imperiali eppure sono ritenuti ugualmente importanti.
    Le feste locali erano più efficaci nell'attirare gente e renderla partecipe delle attività dei santuari.
    Per alcuni è interessante proprio questo insieme di pratiche locali.
    Yanagita Kunio vedeva la politica di rimozione di tutti gli elementi religiosi dai santuari come una minaccia alla fede autentica del popolo. Per lui il culto e le altre pratiche rispecchiavano la parte più antica della cultura giapponese. Nella sua concezione lo shinto è un complesso di credenze e pratiche antiche, tramandate da una generazione all'altra. Critica lo shinto imperiale, mettendo in evidenza l'unità originaria tra i rituali del popolo e quelli imperiali.


    Le scuole dello Shinto religioso.

    Durante il periodo Meiji nacquero alcune "scuole religiose shinto", riconosciute come gruppi religiosi e chiamate Kyouha shintou (gruppi shinto con insegnamenti specifici).
    I santuari dovevano limitarsi ai riti, quindi la diffusione degli insegnamenti doveva essere delegata a gruppi privati approvati dal governo.
    Divennero un nuovo modo per coordinare le attività delle preesistenti confraternite laiche.
    Alcune di queste si concentrarono su un unico luogo di devozione e/o divinità, costruivano "chiese" (kyoukai) ed erano impegnate nella propaganda.

    Tanaka Yoshitou ammise l'impossibilità di diffondere lo shinto con messi "secolari" e riconobbe nei predicatori delle scuole shinto educatori all'altezza persino dei cristiani.
    Per Orikuchi Shinobu l'unica possibilità di sopravvivenza dello shinto stava nel divenire una religione universale.


    Storie diverse per diversi tipi di Shinto.

    Lo shinto post-Meiji mostra tre aspetti:
    – un insieme di rituali non religiosi incentrati sull'imperatore;
    – uno di rituali locali;
    – gruppi religiosi definiti "scuole shinto".

    Tutte le concezioni di shinto confluiscono in una soluzione: esso costituisce la religione "indigena" del Giappone, ha quindi origini antiche.
    La storiografia segue: dall'antica purezza si passa ad un periodo medievale in cui si mischia al buddhismo e al confucianesimo, per poi arrivare alla restaurazione finale e al ritorno all'antica purezza.
    A quanto pare nel Giappone è sempre esistito qualcosa di definibile come "shinto".

    Kuroda Toshio sosteneva che la concezione di shinto come religione era indigena del Giappone, la cui tradizione non si era mai interrotta. Ipotizza che prima del periodo moderno non sia mai esistito in quanto religione indipendente, quindi non deve essere considerato una derivazione del buddhismo.
    La parola "shinto" ha assunto il significato corrente molto più tardi di quanto non suggerisca la storiografia tradizionale.
    Prima dell'introduzione del buddhismo esisteva già una distinta tradizione con una certa correttezza interna. I santuari dei kami, i miti e i rituali sono chiari elementi di un'antica tradizione. Addirittura molti santuari si trovano nello stesso luogo in cui si trovavano in passato.
    I testi mitologici e storici (come il "Kojiki" e il "Nihon shoki") contengono miti sui kami di natura non buddhista e non di derivazione cinese.
    Molti elementi dei rituali sono una continuazione delle rispettive forme antiche documentate. Lo shinto è una continuazione dell'autentica religione giapponese.
    Invece i santuari furono quasi sempre profondamente influenzati dai contatti con i templi buddhisti o dalle tradizioni yin yang.
    Il tutto però è estremamente più antico della concettualizzazione che ha come caratterizzazione dello shinto.


    Santuari, miti e rituali dei Kami nel periodo premoderno.

    Il santuario è il luogo dove i sacerdoti e i fedeli interagiscono con i kami.
    La storia dei santuari risale alla preistoria, ma se intendiamo definirli come istituzioni permanenti con edifici e sacerdoti consacrati, la loro comparsa è più recente.
    Prima del periodo classico non si sa se i siti rituali fossero percepiti come appartenenti a una singola categoria (quella dei santuari) poiché cominciò a delimitarsi per opera della corte imperiale, che portò alla nascita di un culto di stato centralizzato (VII/VIII secolo).


    I primi culti dei santuari.

    Il prototipo più antico e comune era quello di un luogo all'aria aperta, adibito a riti stagionali, al confine tra il dominio umano (dove c'erano i campi coltivati), e il caos al di là di questo.
    Troviamo una descrizione di un sito simile in una cronaca dell'VIII secolo, riguardante il santuario appartenente agli Yahazu, della provincia di Hitachi. Esso descriveva i kami come gli originali proprietari del luogo; pericolosi e violenti, permettevano di popolare la zona solo se placati con offerte e preghiere.
    I kami venivano venerati in un luogo sacro (yashiro, "riparo temporaneo"), un luogo circoscritto dove si svolgevano le cerimonie stagionali. Essi dimoravano nel mondo naturale, al di là del dominio umano e venivano invitati in questo sito al confine tra i due "mondi" solo per il rituale di offerta.
    Il compiere offerte era strettamente legato al potere politico, legittimava la "tassazione", poiché i capi clan operavano come mediatori tra le comunità e i kami.
    La conquista di Hitachi, da parte di Maro, rivela che la potenza degli Yahazu non superava quella delle divinità che veneravano. In quanto "divinità della terra" non potevano molto contro la potenza celestiale della corte imperiale. Infatti la corte fu considerata più efficace nel "dare vita alla gente" poiché il potere imperiale era di natura celestiale.

    Il concetto di divinità del cielo e della terra si rifà ad un'antica classificazione cinese dalle "Massime" di Confucio.
    Questo portò alla nascita di una nuova narrativa di corte definita "mito-storia" che stabiliva le origini dello stato giapponese e implicava che la corte avesse l'autorità di fare offerte "celestiali" alle divinità di tutto il Paese.
    Tale narrativa e la pratica rituale costruirono un nuovo sistema culturale: il "culto jingi".

    Il numero dei santuari all'epoca era altissimo e il culto jingi poneva alcuni di essi sotto il controllo simbolico della corte, e i lignaggi sacerdotali lo sfruttavano per accrescere la propria influenza a corte.


    I miti Jingi.

    La mito-storia ha un alto valore per il culto jingi poiché queste rappresentavano il presente come radicato in passato divino, legittimandolo e rendendolo immutabile.
    Non si sa con precisione quando abbia avuto inizio, ma il "Kojiki" e il "Nihon Shoki" si basano su scritti precedenti.

    La trama del Kojiki può essere riassunta:
    – si riportano le prime divinità che "divennero" quando cielo e terra ovvero origine (Ame-no-Minakanushi, Takami-musubi, Kamu-musubi);
    – Izanagi e Izanami discendono dal cielo, diedero vita alle isole giapponesi, Izanami partorisce molte divinità, morendo dando alla luce la divinità del fuoco, per poi scomparire nella "Terra dell'oscurità" (Yomi), mentre Izanagi tenta di riportarla indietro, fallendo, genera la dea del sole Amaterasu, il dio della luna Tsukuyomi e il dio della tempesta Susanowo;
    – dopo lo scontro tra Susanowo, Amaterasu si ritira in una caverna, facendo piombare il mondo nell'oscurità, allora le divinità celesti dando vita ad un grandioso rituale cercano di attirarla a loro, nel frattempo Susanowo e Okuninushi si impossessano di alcuni tesori con cui verrà costruito il Paese;
    – Takami-musubi e Amateraso fondano un governo celeste sulla "Terra centrale delle pianure di giunco" e le divinità terrene vengono costrette a cedere il Paese a quelle celesti;
    – Takami-musubi e Amaterasu inviano il nipote Ninigi in Giappone per impossessarsene;
    – Jinmu, nipote di Ninigi, divenne il primo imperatore umano, colui che sconfiggerà le divinità terrene;
    – i discendenti di Jinmu conquistano le isole giapponesi e stabiliscono il governo di Yamato persino sull'attuale Corea.
    La trama generale è una unica: la fondazione della dinastia celeste in Giappone.

    Il "Nihon Shoki" trasmette lo stesso messaggio, ma differisce per tre aspetti:
    – segue il modello delle storie dinastiche cinesi;
    – elenca diverse versioni dei vari episodi narrati, presentando prima una versione principale e poi citando altri testi, per questo ci da un'idea dell'ampiezza della produzione della mito-storia intorno al 700 d.C.;
    – la trama del mito presenta delle differenze: quella più evidente riguarda il fatto che il "Nihon Shoki" ignori quasi del tutto la storia di Okuninushi, apparendo meno interessato a rendere onore alle divinità terrestri, concentrandosi maggiormente sulla dinastia celeste degli imperatori di Yamato.

    Il "Kojiki" non viene mai citato nel "Nihon Shoki" seppur questo sia stato compilato poco tempo dopo.

    Verso la fine del VII secolo si era creato un governo imperiale in stile cinese e probabilmente le leggende della casa imperiale erano state riadattate a questi standard.
    Questo non spiega però le versioni parallele incluse nel "Nihon Shoki", il perché sminuisca sia il simbolismo solare della dinastia imperiale, che gli aspetti "terrestri" in quanto dinastia che si era alleata con le potenti divinità terrestri.
    "Kojiki" e "Nihon Shoki" furono interpretati come scritture canoniche di un'antica mitologia invariabile e coerente.
    Attingendo a fonti precedenti, i testi mitologici non si limitavano a codificare una tradizione orale arcaica, ma creavano una nuova trattazione, costantemente rivista, senza arrivare mai ad una versione finale.


    Il rituale Jingi.

    Le mito-storie non erano accessibili a tutti, per questo i messaggi venivano trasmessi più efficacemente attraverso i rituali, su cui la corte investì moltissimo.
    I rituali per i kami combinavano i riti più antichi con le nuove pratiche importate dalla Corea e dalla Cina. Mettevano in risalto la differenza gerarchica tra i santuari, i kami celesti e quelli terrestri.

    Durante il regno dell'imperatore Tenmu, i santuari furono divisi in santuari dei kami celesti e terrestri. Il Consiglio per i kami teneva una lista e ne stabiliva la posizione nella gerarchia di corte. Anche i sacerdoti venivano registrati e una parte dei terreni pubblici e delle tasse fu riservata al loro mantenimento.

    Il culto jingi consisteva in un'ampia gamma di cerimonie. Il fine era di assicurare la pioggia e allontanare i parassiti, per ottenere un buon raccolto, debellare le malattie, proteggere il Paese da ribellioni e invasioni, garantire la salute e la sicurezza dell'imperatore, del palazzo e della capitale.
    È al culto jingi che dobbiamo il titolo di "tenno" (imperatore, "sovrano celeste") per il sovrano del regno di Yamato, a sua volta rinominato "Nihonkoku" ("Terra d'origine del sole").
    Il culto presentava un costrutto politico, concepito per trasformare il re in una figura simbolica che godesse di una posizione in terra universale e indiscussa.

    I rituali più teatrali sono:
    – daijousai, l'investitura del nuovo imperatore (sviluppatosi nel VIII/IX secolo);
    – kinensai ("cerimonia di preghiera per il raccolto"), rituale primaverile in cui si fanno offerte a nome dell'imperatore.

    Okada Seishi (storico) sostiene che le origini del kinensai risalgono a un rituale precedente; collega questo rito a una leggenda della discesa dal cielo di Ninigi in cui Amaterasu gli dona spighe di riso provenienti dal giardino sacro. Con la distribuzione delle spighe, il re indicava come la crescita del riso dipendesse dalla benedizione degli dei celesti. Il raccolto dipendeva dalla venerazione.
    Sia i doni offerti che la preghiera celebravano il potere imperiale a livello economico e militare.

    Nei miti e riti jingi è riconoscibile l'antica essenza del "puro spirito giapponese".
    I miti erano molto lontani dalle credenze popolari e il rituale non era rappresentativo di quelli dei santuari. Il culto non sosteneva un'ideologia nativista o proto-nazionalista, anche se mise la corte al centro del nuovo governo. Inoltre non perseguiva nessun ideale anti-sincretico o purista, né rifiutava le influenze continentali.


    Il culto Jingi e i rituali Yin Yang.

    La divinazione Yin Yang fu introdotta in Giappone dai coreani, prima dell'era di Tenmu e Jito.
    Il titolo stesso di tenno ha origine dall'astronomia yin yang e si riferiva alla stella polare, considerata l'asse immobile di un universo che le ruota attorno.
    Insieme al Consiglio dei Kami fu costruito l'Ufficio dello yin yang, specializzato in divinazioni, astronomia, calendaristica e misurazione del tempo. Le sue attività vedevano l'imperatore come un essere cosmico responsabile del mantenimento del delicato equilibrio tra lo yin e lo yang.
    Anche i kami erano considerati parte dell'equilibrio cosmico.
    Le scoperte dell'Ufficio dello yin yang influenzavano le attività del Consiglio dei kami.
    Il pensiero yin yang era parte integrante del culto jingi, soprattutto per i rituali di esorcismo e per la protezione dell'imperatore e della capitale.

    Nei secoli VIII e IX, la corte fu scossa da lotte, disastri naturali ed epidemie.
    I rituali di pacificazione e di purificazione acquisirono grande importanza.


    Il culto Jingi e il Buddhismo.

    Il buddhismo è stato un altro elemento importante per la corte. Affermato in Giappone già al finire del VI secolo, è più antico dei rituali jingi al quale stretto contatto si è sviluppato.
    Sia la corte che l'élite apprezzavano il buddhismo per la sua capacità di controllare la violenza di dei, spiriti e demoni.
    I templi erano costruiti in prossimità dei santuari, dove monaci erano dediti alla conversione dei kami, facendo conoscere loro gli insegnamenti del Buddha. I meriti e il karma positivo accumulati dai monaci venivano poi trasferiti ai kami per accrescere il loro potere e far prosperare il dharma.
    Molti dei santuari più importanti si trasformarono in complessi di edifici che includevano un tempio e un santuario collegati.
    I kami dei santuari erano visti sempre più come figure antropomorfe.
    I santuari di Ise non erano del tipo yashiro, erano considerate come residenze e venivano chiamati miya ("venerabili dimore").

    Nel IX secolo il rituale jingi declinò, cosa che portò alla separazione dal buddhismo, cosa che aveva una natura più politica che religiosa.
    Il buddhismo avrebbe potuto minare la legittimità dei privilegi delle casate, ponendo quelle divinità specifiche in categorie generali di esseri soggetti al potere del dharma.
    Quando l'imperatrice Shotoku fu vicina al cedere il trono al monaco buddhista Dokyo, la corte prese misure drastiche per rafforzare le basi del potere ereditario.


    I santuari nel Giappone tardo-classico e medievale: da proprietari terrieri a mete di pellegrinaggio.

    Nel XI secolo il governo imperiale fu monopolizzato dalla casata dei Fujiwara. Nel XI secolo i Fujiwara furono sfidati da alcuni imperatori che avevano abdicato per esercitare il potere dai templi. Nel XII secolo gruppi di guerrieri subentrarono a corte fondando il primo shogunato. Nel 1333 questo cadde, lasciando il posto allo shogunato dei Muromachi.
    Questi cambiamenti portarono i santuari a nuovi problemi.

    Nel X secolo il culto jingi ormai esisteva solo di nome. Una nuova rete di santuari prese il suo posto. Quelli più vicini alla capitale continuarono a ricevere offerte dalla corte e i templi buddhisti godevano dello stesso favore.

    Nel XI secolo, la nuova rete di santuari ne comprendeva solo ventidue, tutti nelle vicinanze della capitale. Questi ricevevano le offerte del kinensai due volte l'anno e celebravano rituali straordinari.
    Nelle province, i rituali jingi declinarono rovinosamente: i kami principali vennero radunati in un luogo chiamato soja ("santuario per kami raggruppati"), fu scelto un santuario di rappresentanza per ogni provincia (ichi-no-miya, "primo santuario").
    La corte andò perdendo di influenza politica, i santuari con privilegi antichi furono i primi a serre danneggiati, e molti terreni pubblici divennero proprietà private. Templi e santuari non appartenevano agli esseri umani, ma ai buddha e ai kami.
    Sul terreno di un templio/santuario veniva eretta una copia in miniatura del santuario principale, che custodiva il relativo kami.

    Dal XIV secolo in poi i complessi religiosi, incapaci di competere con i signori della guerra, persero le loro terre a discapito della corte e dei templi. Allo stesso tempo, la crescita economica rafforzò le comunità locali, il che portò molti santuari a diventare autonomi.
    La nuova funzione era quella di proteggere il villaggio e assicurarne la prosperità. I riti rafforzavano la coesione nel villaggio, davano legittimazione divina alle élite locali, mostravano il vigore e l'orgoglio dei loro abitanti.
    I santuari salvaguardavano i beni della comunità, come "proprietà dei kami".
    Nel Giappone occidentale in particolare, molti santuari di villaggio erano amministrati da gruppi elitari, definite gilde, che esercitavano sui villaggi sia potere politico che rituale.

    I pellegrinaggi spopolarono nel X secolo.
    Furono organizzati sistemi di guide per i pellegrini (sendatsu) e di coordinatori (oshi o onshi).
    A metà del XV secolo gli oshi avevano assunto il controllo nella gestione di alcuni villaggi. Furono in grado di sviluppare grandi reti di confraternite


    La comparsa dello Shinto.

    Durante il periodo classico e medievale, c'erano varie reti di santuari diverse tra loro (i santuari jingi, i ventidue santuari, la rete di Hachiman, i soja e gli ichi-no-miya), così come diversa era l'idea generale dei santuari e dei kami.

    Il culto jingi mirava a trasferire sull'imperatore l'autorità dei capi clan che svolgevano il ruolo di sacerdoti locali, e a istituire una forma di governo accentrata secondo le modalità di origini continentali. Non ci si soffermava sulla natura speciale del Giappone, né sulla sua relazione con India e Cina, e altre religioni.
    Fu nel VIII/IX secolo che prese piede il concetto di "nipponicità", quando il Giappone cominciò ad essere influenzato dai commerci con la Cina, dalle invasioni mongole e dai rapporti intensi con la dinastia Yuan.
    La corte cercò di compensare la perdita di potere accrescendo il proprio prestigio culturale, tornando a sottolineare le origini dovute ai kami e agli imperatori. L'imperatore, il kami imperiale, le insegne regali e la poesia di corte, divennero simboli della tradizione giapponese.
    L'imperatore e Amaterasu vennero assimilati dal grande buddha solare Dainichi, le insegne regali furono accostate a mudra e mandala che attiravano i poteri del grande buddha, e la poesia di corte fu considerata analoga all'intonazione di formule esoteriche, fornendo un accesso all'essenza più profonda del dharma.
    Il Giappone venne considerato territorio in cui il dharma si manifesta nella forma più pura.
    Alcuni lignaggi monastici cominciarono allora a definirsi shinto-ryu ("lignaggi monastici shinto"), dove "shinto" viene usato per la prima volta in riferimento ad un insegnamento specifico.
    "Shinto", come parola, ha avuto molte connotazioni buddhiste. In Giappone è usato nel contesto della venerazione buddhista dei kami, probabilmente veniva letto "jindo", in riferimento ai vami come oggetti di sublimazione buddhista.
    Ma le shinto-ryu ritenevan i kami l'essenza grezza e originale dell'illuminazione di Dainichi; tramandavano una serie di rituali in cui l'imperatore, i kami, le insegne regali e le mitologie, si trasformavano in vie d'accesso diretto all'origine del dharma.


    Yoshida Kanetomo e la creazione dell'unico e solo Shinto.

    Dopo il 1480, sul monte Yoshida (Kyoto), prese forma un sito sacro noto come Saijosho ("spazio rituale"), il quale esprimeva una nuova concezione del cosmo e un nuovo impegno religioso, a testimoniare la straordinaria immaginazione di Yoshida Kanetomo, capofamiglia degli Yoshida, le cui imprese mostravano il suo carattere sovversivo.
    Colonna portante del nuovo Saijisho era il Daigengu ("santuario della grande origine"). Di forma ottagonale, poiché il numero otto era collegato al potere imperiale (a testimoniare la grande ambizione di Kanetomo), al suo centro c'erano otto pilastri di legno alti fino al soffitto e che circondavano un pilastro più spesso di bambù alla cui sommità vi era un gioiello. All'interno di questo gioiello era ospitato il grande kami Kuni-no-Tokotachi.
    Era situato in un cortile circondato da un muro, lungo il quale erano disposti santuari dedicati a tutti i kami, ed era affiancato da altri due santuari dedicati ad Amaterasu e Toyouke.
    Sul retro c'era un ulteriore santuario dedicato agli otto kami protettori.

    Il Daigengu era il centro rituale dello "unico e solo" shinto (così definito da Kanetomo), dell'origine della fonte (sogen), ed era il più importante dei tre santuari appartenenti al complesso del monte Yoshida.
    Il Saijosho era stato concepito come un nuovo luogo sacro del Giappone sotto la protezione di Kanetomo.

    Alla morte di Kanetomo, venne eretta una terza struttura sul monte Yoshida, esattamente nel suo punto di sepoltura. Racchiudeva il suo spirito e successivamente quello dei suoi discendenti.
    Andò così sviluppandosi la venerazione postuma di personalità importanti, in qualità di kami, e l'istituzione dei riti funebri.

    Lo shinto di Kanetomo rovesciava completamente la tradizionale concezione medievale del mondo. Il quale, seppur sotto influenza del buddhismo, veniva visto come più antico ed indipendente da esso.
    Nella sua opera "Shinto taii" ("La grande verità dello shinto", 1476), è forte il nippocentrismo. Il Giappone viene considerato il centro del cosmo, essendo il luogo dove i kami si manifestarono per la prima volta: diventa il Paese dei kami (shinkoku) e lo shinto diventa la via giapponese, la via dei kami.
    Riconcepisce il Kuni-no-Tokotachi come kami creatore, con la "forma della non forma" e il "nome del non nome". Da lui scaturisce "l'unico grande universo dei tremila regni che si compenetrano". La creazione avrebbe quindi avuto inizio dal divenire di questo kami. Una cosmologia totalmente incentrata sui kami, con l'intento di svincolare i kami dall'identificazione di emanazioni dei buddha. Nel "Nihon Shoki" invece esso prende forma da un germoglio di giunco dopo la creazione di cielo e terra.
    Nelle sue appendici troviamo:
    – nella prima, una genealogia che mappa le dodici generazioni di kami;
    – nella seconda, fa risalire le origini del Saijosho al 905 sul monte Atago, quando l'imperatore Daigo ordinò che vi fossero ospitati 3132 kami, prima di ridistribuirli tra i santuari.

    Kanetomo aspirava a replicare il sistema utilizzato dal Consiglio per i kami nel VII secolo - il quale aveva operato come centro del culto jingi, legando i santuari alla corte e alla capitale - sostituendolo con il Saijosho, autodefinendosi "shinto chojo" ("sovraintendente dello shinto").
    La sua strategia era di intercedere con l'imperatore per conto dei santuari, perché conferisse loro un attestato di corte. Questo avrebbe portato all'ottenimento dello stato di kami che emana luce ("myojin").

    Nel XVI secolo, grazie a Yoshida Kanemigi, queste licenze verranno distribuite in tutti il Giappone.
    Gli shinto saikyojo certificavano l'appartenenza allo shinto Yoshida e stabilivano le vesti rituali che andavano indossate.
    Gli shinto denju vi erano strattamente correlati: attestati di iniziazione conferiti ai seguaci che si erano sottoposti a uno dei tanti riti. Kanemigi inoltre regalava amuleti e faceva ottimi affari vendendo rotoli che riportavano gli oracoli dei santuari di Ise, Hachiman e Kasuga.

    Kanetomo aveva inoltre invento la storia degli oggetti giunti in volo da Ise, le origini del Saijosho, del lignaggio della sua famiglia.
    In un periodo di grandi sconvolgimenti politici e sociali, dominato da una visione del mondo buddhista, propose una concezione del mondo totalmente nuova (seppur furono molte le controversie mosse nei suoi confronti). Aveva concepito i kami, i santuari e i sacerdoti come elementi di una nuova religione, distinta da buddhismo, confucianesimo e taoismo, superiore seppur ne incorporasse i credi.


    Lo Shinto di Stato protomoderno.

    I signori della guerra Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugaea Ieyasu riportarono l'ordine nel Giappone del XVI secolo.
    Yoshida Kanemi e il fratello Bonshun, si guadagnarono la loro fiducia e questo lo deduciamo dal fatto che li vedremo partecipi nel culto di Hideyoshi.

    "Disposizioni sui santuari" (1665) diede alla scuola Yoshida autorità inimmaginabili fino ad allora:
    – il primo articolo, non parla di shinto, ma di jingido (si riferisce all'Unico e solo shinto), e pretende che i sacerdoti conoscano i loro kami ed eseguano i riti tradizionali. Non fa alcun riferimento esplicito agli Yoshida;
    – il secondo articolo, riguarda le procedure di ottenimento del rango di corte per i sacerdoti;
    – il terzo articolo parla della scuola Yoshida: i sacerdoti devono indossare le vesti indicate nelle licenze rilasciate dalla famiglia Yoshida.

    Con la legittimazione di queste disposizioni, gli Yoshida portarono migliaia di sacerdoti sotto la propria supervisione.
    In diversi feudi la loro autorità fu istituita da un giorno all'altro, mentre altrove ci impiegò più tempo, incontrando sfide continue, come la resistenza degli Shirakawa i quali avevano svolto un ruolo fondamentale nel Consiglio per i kami e in tutti i rituali di corte.
    Gli Yoshida rimasero i più potenti finché gli Shirakawa, ripreso vigore, ricominciarono a contestare la loro influenza sui santuari di provincia.
    Per gli Yoshida affrontarono un'altra minaccia proveniente dai seguaci dello shinto Suika (lo divenne in seguito).

    Lo shinto Suika prendeva molto dall'Unico e solo shinto, pur discostandosi da esso.
    Era anti-buddhista.
    Presenta un nucleo etnico basato sul confucianesimo e indirizzato all'istituzione imperiale.
    Influenzato da metafisica confuciana, evidente nella teoria della "unità fondamenta tra kami e umanità", secondo la quale la natura di kami è presente in tutta la creazione, esseri umani compresi. Gli esseri umani infatti hanno il dovere di scoprire il proprio kami interiore, per farlo occorre "fermezza", che richiede a sua volta lo "tsutsuhimi" cioè la lealtà del vassallo verso il proprio signore. Ciò rivela l'importanza, per lo shinto Suika, attribuita all'imperatore.
    Questo ebbe impatto maggiore sulla corte imperiale.
    Raggiunse il suo apice durante il mandato di Sanetsura, anni in cui fu importante il ruolo svolto da Takeuchi Dhikibu.
    Shikibu aprì una scuola Suika a Kyoto, in cui insegnava ai giovani dignitari, insoddisfatti del sistema di corte.
    Lui sottolineava il diritto degli imperatori di governare il proprio regno, mettendo in dubbio la legittimità del governo dei Tokugawa. Secondo lui infatti lo shogun doveva restituire il potere amministrativo all'imperatore.


    Le pratiche popolari.

    Le pratiche popolari si svolgevano presso luoghi di pellegrinaggio, lontani dai santuari locali.

    Il numero degli onshi era aumentato, essi incoraggiavano gli abitanti dei villaggi ad organizzarsi in confraternite.

    I pellegrini non erano attirati a Ise, a causa dei rapporti con l'imperatore, più importante era il ruolo della dea del sole di grande kami dell'agricoltura.

    I sacerdoti officiavano le funzioni religiose e mantenevano un legame privilegiato con la corte. Il collegamento tra santuario e corte era fornito dalla famiglia di ritualisti di corte.
    I kami dei santuari di Ise, erano già presenti nelle grandi mito-storie, ma i culti erano molto più popolari.

    Hakami, kami dei denti; chi soffriva di mal di denti doveva preparare una pasta di fagioli di soia e sotterrarla nel terreno del santuario e si pregava il kami almeno finché la pasta di fagioli non fosse germogliata.
    Inari, kami del riso, associato alla volpe; a Edo era presente un santuario dedicato al "cespuglio di Inari" che prometteva di guarire i disturbi agli occhi; secondo la leggenda Inari perse un occhio urtando un ramo di un cespuglio di tè, perciò chi gli si rivolgeva si asteneva dal bere tè per ventisette giorni, porgendogli offerte adeguate.
    Kami Koshin, che si riferisce ai giorni del calendario cinese in cui un metallo si scontra con un altro metallo preannunciando un cambiamento infausto; nei giorni del Koshin si usava rimanere svegli tutta la notte pregando a Saruta-Hiko, un kami dal lungo naso collegato sia alla dinastia imperiale che alla divinità Vajrapani.

    All'inizio del XIX secolo vediamo nati di famiglie povere del Giappone rurale diventare kami. Si tratta di kami distinti tra loro, ma che promettevano tutti la salvezza (anche per le persone comuni), un concetto estraneo fino ad ora.

    Kawate Bunjiro, che nel 1855 fu posseduto dal kami Konjin, uno dei kami più cruenti, e poi si trasformò in esso. Dopo una serie di sfortunati eventi che caratterizzarono la sua vita, Bunjiro pensò di aver arrecato involontariamente offesa a Konjin che, sul suo letto di morte, gli confermò di essere stato offeso. Bunjiro si scusò e Konjin lo perdonò, promettendogli il suo aiuto divino. Bunjiro si ristabilì, costruì un santuario nella propria casa e dedicò la vita a compiere la volontà di Konji, intercedendo per coloro che soffrono. Konjin confermò che dopo tutto Bunjiro era la sua incarnazione, che divenne il "grande kami vivente della luce dorata".
    Però non risulta che queste attività venissero considerate parte dello shinto.

    Il movimento intellettuale nativista, che si fissava sul Giappone e sulla sua unicità insita nei kami dei miei e nell0istituzione imperiale.


    I nativisti e i loro Kami.

    Agli inizi del XIX secolo fu pubblicato il "Commento al Kojiki" di Motoori Norinaga. Prima di allora il "Kojiki" non era noto, le conoscenze dei kami e dei miti provenivano per la maggior parte dal "Nihon Shoki".
    Motoori si concentra su Amaterasu, subordinata a Takami-musubi, il più importante kami del cielo che genera ogni forma di vita, ma trova in lei la sua ispirazione, così come nella fondazione della dinastia imperiale e nella via spontanea del Giappone antico.
    Per lui ogni imperatore umano ha origini da Amaterasu.
    Rivela la via giapponese, né spontanea né creata dagli umani, bensì da Takami-musubi r coltivata da Amaterasu.
    Mette costantemente a confronto Giappone e Cina, considerando i problemi del Giappone derivanti dall'influenza cinese.
    Il suo solo interesse è diffondere la conoscenza tra i giapponesi di tutte le classi sociali.

    Aizawa scrive lo "Shinron" (trattato politico) come soluzione alla crisi imperiale del Giappone, la cui causa prima è la comparsa delle navi russe e britanniche al largo della costa giapponese, che minacciavano l'isolamento del Giappone.
    La soluzione stava nel far rivivere l'etica confuciana, Amaterasu era vista come la progenitrice della lealtà e della pietà filiale e perciò aveva la stessa importanza dell'imperatore, modello di queste virtù.
    Una via confuciana dove persiste un ordine sociale basato sulla lealtà e sulla devozione, rafforzate dalla celebrazione imperiale di atti rituali rivolti ad Amaterasu.

    Hirata Atsutane ha invece un approccio nativista: non pensa che Amaterasu sia poco importante, ma che la sua presenza è relativa.
    Hirata parla della necessità di comprendere l'anima e il suo destino nell'aldilà, ciò implica la comprensione della suddivisione dell'universo in cielo, terra e regno degli inferi, nonché delle virtù divine che permeano la creazione.
    Motoori sostiene che tutti i defunti sono destinati al regno di Yomi, ma Hirata crede che le anime dei morti rimangono in Giappone e si radunano nei santuari, dove i riti ne assicurano il riposo.

    Okuninushi è un kami che governa la terra prima di cederla ai discendenti di Amaterasu, per poi scomparire e diventare il sovrano del regno invisibile dove dimorano i morti. Egli funge anche da giudice e stabilisce e le anime debbano andare in paradiso o all'inferno.

    Hirata attribuisce importanza al kami Ame-no-minakanushi che nel "Kojiki" compare dopo la creazione del cielo e poi scompare senza avere altro ruolo. Egli lo definisce la prima e suprema divinità poiché esiste senza un inizio.

    Queste sono le fondamenta su cui i restauratori del periodo Meiji costruiranno lo shinto moderno.
    I più importanti sono Okuni Takamasa e il discpolo Fukuba, che adottarono le teorie di Aizawa sul rituale imperiale, sostenendo che tutti i santuari del Paese fossero siti preposti ai riti di stato; liberarono Ise dal controllo delle casate sacerdotali Arakida e Watari, posero fine al controllo simbolico delle famiglie Yoshida e Shirakawa su tutti i santuari.


    Storia di un santuario: Hie.

    Sette santuari maggiori e altri vari minori formano i santuari di Hiyoshi, chiamati di Hie prima della seconda guerra mondiale.


    Hie nel Giappone antico e medievale.

    - Origini.
    Nel 1571, a causa di una catastrofe, edifici, immagini sacre e documenti di Hie furono distrutti, perciò la sua storia può essere ricostruita sono in base ai resoconti che ci sono pervenuti.
    Lo storico Kageyama Haruki, individua la festa primaverile del Sanno matsuri, come evento principale del santuario.
    Il primo marzo due mikoshi (palanchini che trasportano i kami) vengono portati fino ai due santuari superiori e ogni notte, sul monte Hachijoi, vengono accesi alcuni fuochi. Dopo sei settimane vengono portati di corsa fino al santuario principale, avviene il rito shiri-tsunagi, ed il giorno successivo vengono portati in un terzo sito in cui verranno presentate le offerte.
    In questo modo viene dimostrato sia il vigore delle divinità che quello dei giovani.
    Questo ricostruisce un antico culto della montagna che si compiva in tre distinti siti: la "roccia d'oro", i santuari ai piedi della collina e il sito in pianura.
    Hie viene descritto come un luogo pacifico dove divinità irrequiete, ma benevole, benedicono la comunità.
    Questa ipotesi rispecchia l'immagine di uno shinto invariato dalla tradizione indigena.

    Hie non è un luogo di culto indigeno, piuttosto si è sviluppato nel contesto della costruzione del regno di Yamato, come uno dei tanti luoghi in cui le divinità pericolose della terra furono sottomesse.


    - Le alterne vicende di corte trasformarono Hie.
    Hie ebbe origine nello Yamato.
    Il kami principale era Onamuchi, che si pensava fosse ospitato nel monte Miwa, il che lo rendeva un sito importante per la venerazione dei kami.
    Sembra vi fossero due leggende sulla sua apparizione a Hie. Alcuni sostengono che sia stata trasferita su iniziativa del monaco Sicho. Altre fonti si riferiscono al regno di Tenji a Otsu, dove i cortigiani si lamentavano che non avrebbero più potuto godere della visita familiare del monte Miwa. Vista l'importanza che vi veniva attribuita sembrava ragionevole supporre che Tenji avesse fatto spostare la divinità a Hie.
    Con l'arrivo della divinità, vi giunse anche un nuovo tipo di culto dei kami. Fu costruito un padiglione permanente a significare che vi risiedeva tutto l'anno.
    La divinità era una figura antropomorfa, associata alla corte, viveva in un palazzo ed esigeva di essere servita costantemente da un sacerdote stabile.


    - Hie e i templi tendai sul monte Hiei.
    Alla costruzione del Grande Hie, seguirono cambiamenti radicali.
    Nel IX secolo, il santuario fu annesso al ramo del buddhismo Tendai, così si espanse fino a diventare il più grande complesso di santuari del Paese. Le sue divinità assunsero identità completamente nuove e i sacerdoti furono affiancati da monaci buddhisti.
    La trasformazione del monte Hiei, ha influito sui santuari di Hie. Questi si trovavano sul versante sbagliato della montagna, lontano dalla nuova capitale, così vennero incorporati nel complesso del tempio.
    La comunità tendai, sul monte Hiei, si era legata alle divinità di Hie, e i santuari ne avevano beneficiato.
    Hie fu inclusa nel culto nazionale dei santuari controllato dalla corte e la divinità che ospitava fu classificata come "maggiore".

    L'approccio buddhista alle divinità locali ha assunto varie forme in Giappone, come la fondazione di templi (in prossimità dei santuari) dove venivano recitati sutra a beneficio delle divinità, i santuari si dotarono di oggetti di culto buddhisti e le divinità si trasformarono in sostenitori o praticanti del dharma.

    Alla fine del IX secolo, il santuario di Ninomiya (il vecchio complesso Oyamakui del Piccolo Hie) era stato fornito di una costruzione permanente come il Grande Hie; all'epoca Hie comprendeva tre santuari principali: Omiya (grande santuario), Ninomiya (secondo santuario), Shoshinshi. E furono dotati di nuove identità: Omiya (Omiya gongen) era associato alla capitale; Ninomiya (Ninomiya gongen) fu associato a Kuni-no-Tokotachi; Shoshinshi fu associato a Hachiman, il grande bodhisattva di Usa (spirito dell'antico imperatore Ojin).
    Gongen significava "avatar", tutti i kami sono manifestazioni di divinità buddhiste.

    X/XI secolo si aggiunsero altri santuari. Ne furono costruiti quattordici (sette inferiori e sette intermedi) che si andarono ad aggiungere ai sette superiori. Fino ad arrivare a 108 santuari inferiori e 108 superiori.
    Il numero sette allude alle stelle del Grande Casso, al centro del più importante rituale tendai; centootto si riferisce al numero delle afflizioni legate al karma.


    - Hie come potenza economica.
    I tendai usarono i poteri divini di Hie per i loro interessi.
    Man mano che il controllo centrale collassava, più terre venivano privatizzate e veniva concessa l'esenzione dalle tasse. Templi e santuari diventavano spesso proprietari di queste terre.
    Diventando un'istituzione proprietaria di terre, Hie fu munito di nuovi tipi di edifici: i "padiglioni dell'equinozio" (higan-sho). I primi padiglioni apparirono alla fine dell'XI secolo e la loro funzione ufficiale era ospitare la celebrazione dei rituali buddhisti per le divinità durante l'equinozio di primavera e autunno.
    In questi, i monaci di basso rango (doshu) celebravano moltissimi riti (penitenze del loto, recitazioni del nenbutsu, danze kagura ecc.) e molti gruppi vi alloggiavano in modo permanente, divenendo una nuova categoria di esperti di rituali di Hie. Inoltre i doshu avevano ruoli economici e militari.
    Ogni padiglione aveva una serie di proprietà dalla quale ricavava i contributi per l'equinozio e fungevano da titolari di beni per conto dei monasteri.
    Facevano prestiti, avvalorati dai poteri delle divinità e dei monaci, perciò solo in rari casi non venivano onorati.
    Questi padiglioni divennero così importanti istituzioni finanziarie.
    In alcune occasioni servivano come alloggio per abati tendai, imperatori, shogun ed eserciti.
    I padiglioni rappresentavano il potere di Hie, perciò la loro assenza dopo la ricostruzione, fu segno della fine del suo periodo d'oro.

    I coltivatori delle terre possedute dal santuario venivano chiamati jinin (popolo della divinità). Erano esentati dalle tasse pubbliche e dall'osservanza della legge, servivano il complesso di templi e santuari in veste di produttori di beni, amministratori, manovali e soldati.
    Vi erano molti tipi di jinin: alcuni erano considerati alla stregua di servitori, altri come proprietari terrieri e ricchi mercanti.
    La maggior parte delle volte questi jinin si occupavano di procurarsi offerte straordinari, lavoravano come manovali, riscuotevano pedaggi, mantenevano santuari locali ecc.
    Si dice che fossero stati mossi diversi reclami nei loro confronti poiché terrorizzavano i locali usando la scusa dell'attacco dei kami.
    A Kyoto dominavano il commercio e l'economia.


    - Le nuove immagini delle divinità.
    Tra il XIII e il XIV secolo una serie di nuovi testi radicò maggiormente il culto di Sanno che divenne una delle divinità più importanti del Giappone.
    Hie veniva rappresentata come sacra terra di Buddha.
    I mandala di Hie, usati probabilmente nei loro rituali buddhisti, mostrano le divinità in forma buddhista, alcuni si concentrano su paesaggi del monte Hachioji.


    - Il declino del potere medievale di Hie.
    Nel XIV secolo il potere dei santuari di Hie cominciò a declinare. Persero potere sulle loro proprietà, molti jinij si dileguarono e con loro la ricchezza e il potere militare. Le gilde si sciolsero e l'influenza delle scuole buddhiste fu sorpassata dai templi zen sostenuti e controllati dagli shogun.
    Nel XV secolo il potere dello shogun crollò e a Kyoto scoppiò la guerra Onin.
    La comunità di Hiei perse i suoi patrocinatori nel momento in cui la corte passò in secondo piano.
    Oda Nobunaga riunì le sue armate e, proseguendo per il lato orientale del monte, rase al suolo tutto ed uccise monaci, laici, donne e bambini, cancellando qualsiasi traccia di Hie.
    Furono risparmiati solamente i sacerdoti e le loro famiglie poiché, evidentemente, non lo avevano offeso.
    Dopo la morte di Nobunaga cominciò la ricostruzione del sito di Hie.


    I santuari di Hie e il Giappone protomoderno.

    - L'organizzazione del periodo protomoderno.
    Nel 1601 tutti e sette i santuari erano stati restaurati.
    Il governo Tokugava (1603) aveva operato una serie di riforme in campo religioso, affermando che non avrebbe ammesso interferenze da templi, nel governo del regno.


    - La follia di Hie.
    Le tensioni tra i sacerdoti e i monaci tendai affiorarono nel 1660, quando i Tokugawa patrocinarono la ricostruzione dei sette santuari di Hie ormai fatiscenti.
    Gli oggetti sacri furono ripristinati ritualmente, con rito tengu, ma i sacerdoti contestarono il comportamento dei monaci in tale occasione. I monaci furono accusati di aver offeso i kami offrendo loro incisioni di legno anziché acqua e riso. Sporsero denuncia inoltre accusandoli di rubare da anni la loro legna.
    Nel 1674 i monaci cercarono di entrare nel santuario di Omiya per porvi delle statue di legno di tre scimmie (collegate al culto di Sanno, per affermare il loro predominio sul santuario ed irritare i sacerdoti), furono bloccati e gli fu vietato l'accesso, anche se l'anno seguente i monaci si presentarono più volte per celebrare riti religiosi.
    Nel 1683 alcuni sacerdoti rimossero gli oggetti sacri buddhisti dai santuari, sostituendole con scatolette contenenti gli heihaku (bacchette che rappresentavano i kami). Le statue raccolte furono poi bruciate.
    Seppur questo sembri il preludio delle lotte tra shinto buddhismo, non si trattava altro che di un atto di ribellione contro la posizione che gli era stata riservata all'interno dell'ordine protomoderno.


    - Il santuario di Hie e la festa di Sanno nel periodo protomoderno.
    Santuari e sacerdoti esistono unicamente per celebrare i riti di fronte ai kami; i riti e le feste sono la loro linfa vitale.
    A Hie l'anno ruotava intorno a otto eventi rituali, in cui le porte dei sacrari venivano aperte e le offerte poste direttamente davanti ai kami.
    La festa di Sanno, rituale fondamentale, si teneva il quarto mese, e si suddivideva in fasi:
    – giorno del cavallo: eventi legati al monte Hachioji;
    – giorno della pecora: eventi legati al santuario Ninomiya;
    – giorno della scimmia: eventi legati al santuario Omiya.

    La processione è il cuore della festa e più che le attrazioni, ad attirare spettatori, è il furyu (lo stile): i carri originali e variopinti; le danze; la musica; forme di intrattenimento.
    Spesso venivano eretti dei padiglioni (sajiki) che permettevano alle persone di vedere meglio.


    - La fine di un'epoca.
    Intorno al 1835 i sacerdoti scoprirono che il kami di Ninomiya non era Kuni-no-Makui, scoperta dovuta alla diffusione di nuove conoscenze sui miti dei kami.
    Questa rivelazione e la maggior vicinanza tra i sacerdoti di Hie e la corte imperiale, spinsero i sacerdoti a immaginare un futuro diverso, ispirato al passato in cui Oyamakui era venerato come kami di Hie e i sacerdoti era devoti unicamente a lui e alla corte imperiale.
    Non ci sarebbe stato posto né per il Tendai né per altre forme di buddhismo.


    Il santuario di Hie e il Giappone moderno.

    - La rivoluzione Meiji del 1868.
    La rivoluzione Meiji giunse a Sakamoto il 23 aprile 1868.
    Il 20 aprile il governo appena formato aveva emesso un editto con il quale ordinava ai sacerdoti di rimuovere tutte le statue buddhiste dai propri santuari. Questo corpo di leggi era conosciuto come "chiarimento" (hanzen), poiché chiariva cosa fosse pertinente ai kami o ai buddha, cosa fosse un santuario o un tempio, cosa fosse lo shinto e cosa il buddhismo.
    Il saccheggio dei santuari colpì in primo luogo Hie per poi diffondersi in tutto il Giappone.
    Delineò nuovi confini spazio-temporali per i santuari, kami e sacerdoti.
    Pose le fondamenta dello shinto: una religione autonoma, distinta ed indipendente.
    Diede vita ad un governo di "restaurazione", trasformando il Giappone in uno stato-nazione moderno.
    Diversi samurai fondarono un nuovo governo civile incentrato dall'imperatore, sfruttando il mito imperiale, e i santuari più importanti avevano un ruolo fondamentale nella manipolazione del mito.
    Nel 1869 il nuovo imperatore, compì il suo pellegrinaggio storico a Ise, trasformandolo da luogo di pellegrinaggio popolare a centro sacro dello stato-nazione moderno, e ravvivò il mito dell'imperatore.
    Nel 1873 fu stabilito per legge il ciclo annuale dei riti che i sacerdoti avrebbero dovuto celebrare:
    – il rito primaverile kinensai;
    – il rito autunnale niiname-sai;
    – il rito per l'anno nuovo genshi, commemorazione alle origini della dinastia imperiale;
    – il rito per celebrare l'ascesa al trono dell'imperatore Jinmu, il kigensetsu.


    - Gli spazi moderni di Hie.
    Juge Shigekuni fu fautore e vittima dei cambiamenti del periodo Meiji.
    I monaci tendai protestarono contro il saccheggio dei santuari che aveva mosso, tanto che alla fine fu arrestato insieme al suo confratello.
    Il suo allontanamento dai santuari di Hie permise a Shogenji Kitoku di tornarvi come capo sacerdote.
    Egli trovava disdicevole la forma del portale torii di Hie, per questo la struttura triangolare alla sua cima, che lo distingueva da tutti gli altri, fu rimossa, poiché simboleggiava l'unità tra kami e buddha.
    Cambiò i nomi dei tre santuari, poiché erano troppo buddhisti, rinominandoli:
    – Hachioji in Ushio;
    – Shoshinshi in Usa;
    – Juzenji in Juge.
    Sosteneva inoltre che i kami di Ushio e di Ninomiya erano il medesimo.

    Nel 1873 Nishikawa Yashisuke divenne capo sacerdote di Hie che riprese l'opera di Juge e rinominò un secondo gruppo di santuari, cambiando: Marodo in Shirayama-hime (principessa della montagna bianca), dove shirayama è la lettura giapponese degli ideogrammi di "monte Hakusan"; Omiya in Omiwa (grande miwa).
    L'espressione "Grande santuario statale di Hie" andò a riferirsi unicamente al santuario kami Oyamakui, rinominato Hongu. Il nuovo Hongu era meno imponente, più scomodo da raggiungere e meno spazioso.
    Nel 1875 effettuò uno scambio di spazi, trasferendo Oyamakui nel santuario Omiea, e Onamuchi nell'Hongu, insieme ai kami ed invertendone i nomi.


    - Sacerdoti e propaganda.
    Nel 1872 vene creato un nuovo Ministero dell'edificazione, la cui responsabilità era di tipo amministrativo, nei confronti di santuari e sacerdoti shinto, templi e monaci buddhisti, e nuove religioni. Fu anche incaricato di svolgere una campagna di propaganda nazionale.


    - Feste e risse.
    La festa annuale, nel periodo Meiji, era l'unica occasione per esprimere le proprie tradizioni, ma il governo intervenne anche sui rituali, stabilendo una differenziazione tra i riti dei santuari:
    – riti di stato: finanziati dal governo, vi avrebbero preso parte i suoi funzionari, ne faceva parte i riti che riguardavano il mito imperiale e le feste annuali dei santuari;
    – riti privati: né fondi né patrocinio.

    La festa di Sanno moderna si tiene dal 12 al 15 aprile, ed è diventata la rappresentazione di un mito che ha per protagonisti i kami Oyamakui e la sua principessa Tamayori-hime. I due kami scendono insieme dal monte, trascorrono la notte nel padiglione, il giorno successivo vengono raggiunti dagli "spiriti gentili" nel Grande ufficio dove vengono onorati con offerte prima che la principessa partorisca.

    L'affluenza durante questa festa è di dimensioni mai viste e nella storia furono riportati anche diversi avvenimenti di violenza.


    - Il santuario e la gesta nel XX secolo.
    Nel 1906 ha segnato la fine del periodo di incertezza economica.
    Negli anni precedenti i santuari erano stati considerati un peso. Venne stabilito un "fondo di preservazione dei santuari" che consisteva nel finanziarli tutti per quindici anni.
    Nel 1906 invece il governo decise di finanziare i santuari maggiori senza limite di tempo.
    Vinta le guerre contro Cina e Russia, il Giappone poteva essere considerata una potenza mondiale, perciò il governo necessitava del mito imperiale e dei santuari.
    Vennero emanate diverse norme, riguardanti la celebrazione dei riti, le offerte e la condotta morale dei sacerdoti.
    Durante i primi decenni del XX secolo Hie e altri santuari raggiunsero la massima importanza per la nazione.
    Nel 1942 Oyamakui e la sua principessa vennero riportati ai loro siti originari con una cerimonia solenne; Onamuchi anche fu spostato nel santuario di Omiya.
    Hie è attualmente composto da un complesso occidentale e da uno orientale, dominati da due grandi kami di pari virtù divina.


    - La sfida del dopoguerra.
    L'occupazione degli alleati causò la trasformazione dei santuari e smantellò lo "shinto di stato" (il mito imperiale e tutte le strutture politiche e sociali che lo sostenevano).
    La Costituzione del 1947 interruppe il concetto di separazione tra stato e religione, costringendo Hie e la maggior parte dei santuari ad iscriversi alla National Association of Shrines (NAS).
    Hie prese il nome di Hiyoshi taisha, dove hiyoshi è la lettura alternativa di "hie" e taisha (grande santuario) è un omaggio al suo vecchio status.
    La NAS è stata fondata prima dell'ultima guerra, dagli intellettuali e burocrati shinto, proprio per evitare la scomparsa dei santuari, senza i quali lo shinto avrebbe perso il suo significato.
    Tuttavia Hiyoshi ebbe più problemi con il NAS.
    Nei primi anni del dopoguerra il trasporto dei mikoshi, il loro scuotimento e la processione furono soppressi. La mancanza di uomini giovani è forti era il problema e per questo furono acquistati dei mikoshi più leggeri e poi furono acquistati dei camion per trasportarli.

    Attualmente il santuario riceve il sostegno del governo per la manutenzione di alcune sue strutture, per il resto si affida alle donazioni. I padiglioni centrali sono stati designati come patrimonio nazionali, mentre altri edifici, tre dei suoi ponti di pietre e i sette mikoshi, come importanti beni culturali.
    I contributi dei fedeli servono anche per mantenere i terreni e a pagare i sacerdoti.
    Non riceve alcun sostegno finanziario dal Nas, al contrario sono i santuari come Hiyoshi che lo sostengono, con le quote associative annuali.
    Il santuario raccoglie ulteriori fondi vendendo amuleti.
    Il peso economico della festa di Sanno non ricade sul santuario stesso poiché organizzata da un comitato speciale e finanziata a imprese e dal municipio, e anche dai sacerdoti.


    Storia di un mito: la dea del sole e la caverna.

    Uno degli episodi più importanti, riguardanti i miti suoi kami, fu quello che racconta della dea del sole Amaterasu, tormentata dal fratello Susanwoo al punto che si rifugiò in una caverna, facendo precipitare il mondo nell'oscurità.


    Origini.

    Il mito racconta l'origine delle cose in un passato lontano, cercando di darci una spiegazione perché oggi le cose sono in questo modo e tenta di dimostrare che è così perché così deve essere.
    Il mito si sovrapponeva alla storia, ma tra le due la differenza è che la storia è una forma narrativa che relativizza il presente, mostrando come le cose fossero diverse in passato; il mito invece presenta l'ordine delle cose come assoluto e immobile, un ordine sacro dalla sua origine divina.
    Non è un corpus di leggende e sono prive di un autore.

    A prima vista, il mito della caverna celeste, sembra un "mito naturale", cioè un tentativo prescientifico di spiegare un fenomeno naturale. Tuttavia c'è ben più di una spiegazione primitiva, riguardante gli aspetti politici e ideologici del mito.
    Amaterasu non è solo una dea, ma anche l'antenata imperiale e senza di lei il mondo smetterebbe di funzionare.
    Ma è anche una tessitrice. Muore ed entra in uno spazio ristretto, un bozzolo, per riemergere in grande splendore dopo l'incubazione.
    Il baco da seta, in Cina, era noto come l'insetto dalle tre trasformazioni.

    Nella narrazione più ampia dei miti, il legame con la sericultura non era più funzionale. L'episodio della caverna viene collegato alla discesa di Ninigi dalla "pianura dell'alto cielo" alla "terra centrale delle pianure di giunco" (il Giappone).
    Questi due episodi spiegano l'origine della stirpe imperiale, e come le casate sacerdotali avessero raggiunto la loro posizione.
    I sacerdoti di corte rivendicavano una discendenza divina e nei riti rappresentavano le divinità celesti in qualità di loro discendenti. La procedura corretta e la celebrazione da parte di persone "giuste", rendevano i rituali efficaci.

    La storia della caverna non parla solo di seta o del ciclo stagionale, ma vede l'imperatore come rappresentante in terra di Amaterasu.
    Nella rilevanza che Amaterasu ha, molti vedono il riflesso delle credenze e delle preferenze di Tenmu (colui che ordinò il Kojiki).
    Quando Tenmu salì al potere divenne ancora più importante. Egli attribuiva la sua vittoria (nella guerra jinshin) ad Amaterasu, con cui aveva maturato un rapporto personale.
    Così Amaterasu avrebbe elogiato Ise, come una "terra bagnata dalle onde di Tokoyo".

    Le sarume erano un lignaggio di sacerdotesse che rivolgevano la loro devozione a Saruta-hiko o ad Amaterasu.
    Quando crebbe l'importanza di Ise, le Sarume acquisirono un posto nel rituale di corte, evidente in un rituale legato al mito della caverna (chinkonsai, "pacificazione dello spirito").
    Questo era celebrato ogni anno, in occasione del solstizio invernale, un giorno prima del rito niiname (o oname o daijousai), nel padiglione per la preghiera del Consiglio per i kami o in una tenda presso la sede del consiglio.
    Alcune sacerdotesse (mikannagi) danzavano, colpendo con un bastone con delle campanelle una tinozza rovesciata. Erano accompagnate dal koto e da flauti. Gli ultimi due canti annunciavano il risveglio dello spirito di Toyo-hirume ("fertile dea del sole"). Nel contempo una dama scuoteva un baule contenente una veste dell'imperatore, e il Capo del Consiglio per i kami annodava alcuni fili di lino. Durante la cerimonia avvenivano altre danze, una delle quali eseguita dalle Sarume.
    Questo rituale combinava una serie di riti con l'obbiettivo di rafforzare lo spirito del sole e dell'imperatore, e impedire che si disperdesse.

    Il racconto della caverna illustra le dinamiche della creazione dei miti nell'antico Yamato. Vi troviamo strati di origini diverse, come: le lotte di potere tra le varie casate.
    Fu aggiornato di volta in volta in base agli sviluppi politici.


    La riscoperta del mito di corte.

    Tra le varie cose, il mito narra dell'origini divina degli specchi come oggetti rituali, in particolare di quello usato per attirare Amaterasu fuori dalla caverna. Lo stesso riappare nel racconto della discesa dal cielo, dove Amaterasu lo porge a Ninigi, come parte di se (il suo spirito).
    Si dice che esso fosse conservato ad Ise, ma nel X secolo fece la sua apparizione nel palazzo imperiale. Considerata come l'apparizione di Amaterasu stessa, segnò l'inizio di un rinnovato interesse per i miti dei kami e del rituale di corte.
    A poco a poco divenne il tesoro sacro imperiale, custodito a corte.

    I miti sono interessanti solo quando hanno un impegno attivo in processi creativi.
    Nel XII secolo riapparvero improvvisamente in forma di citazioni e riferimenti nei trattati di poetica giapponese.
    Questo nuovo sviluppo era strettamente legato alla situazione politica, che vedeva la potenza della corte minata dalla comparsa di gruppi di guerrieri, per poi crollare lasciando il Paese devastato dalla guerra ed in mano allo shogunato (nato allora a Kamakura).
    L'élite necessitava allora di nuove forme a sostegno della sua autorevolezza.


    La via della poesia.

    Per i nobili, la poesia era un'importante risorsa culturale, parte integrante della vita dei cortigiani, guerrieri e religiosi.
    La composizione waka era considerata tra le poche attività culturali di alto prestigio, in grado riportare l'attenzione alle antiche origini del Giappone, allontanandosi quindi dal continente asiatico.

    La più antica antologia poetica è il "Kokinshu", che celebra la poesia come un'arte fondata dai kami.
    Nei waka venivano fatte distinzioni tra i termini giapponesi e quelli cinesi e i poeti evitavano prestiti linguistici dal cinese. Sviluppandosi quindi a diventare una tesi nativista che sottolinea il valore di ciò che è giapponese, cercando di spiegare le qualità della poesia in rapporto alle sue origini divine.

    Sul finire del XIII secolo la poesia waka venne istituzionalizzata seguendo il modello dei lignaggi monastici del dharma.
    La "via della poesia" divenne il metodo per accedere al regno illuminato dei buddha.


    Interpretazioni e ritualizzazioni buddhiste: la via degli dei.

    Nel XI secolo alcuni monaci cercarono di inserire Amaterasu nei propri insegnamenti, ma solo nel XIII secolo i miti sui kami divennero uno dei temi principali della tradizione buddhista.
    Si andò a sviluppare l'idea di una "via dei kami" in grado di condurre all'illuminazione buddhista.

    Un gruppo di monaci scrivani (kike), si specializzarono nella raccolta e la trasmissione di conoscenze sui kami.

    Le interpretazioni buddhiste dei miti crearono una nuova teologia e vennero coniate cerimonie di iniziazione kanjo, includendovi mandala dei kami, mantra e trasmissioni segrete.
    Tra le trasmissioni più comuni c'era quella della "questione importante del portale torii" che rappresentano l'ingresso al "palazzo della caverna".
    Prima di oltrepassare il torii si usa impostare le mani sul mudra della "apertura dello stupa", pronunciando la sillaba "a", avanzando verso il padiglione si ripete lo stesso mudra dicendo "vam", infine si visualizza il fondersi di a e vam e si pronuncia "hum". Questo rituale trasforma ogni santuario in un corrispettivo della caverna di Amaterasu.


    La rappresentazione del mito della caverna e la via del no.

    Il mito della caverna è legato alla danza.
    Le canzoni e le danze degli dei davanti alla caverna sono l'origine delle saibara ("canzoni dei mandriani di cavalli da soma"). Erano melodie giapponesi inserite nella musica cerimoniale di corte (gagaku) e hanno costituito il mezzo principale per rappresentare sia la venerazione dei kami che il mito della caverna.

    Il mikagura ("mi" è un prefisso onorifico e "kagura" indica la venerazione dei kami con canzoni e danze) fu uno dei rituali introdotti per celebrare lo specchio a corte.
    L'antico kagura era un rito potente e imprevedibile, che comprendeva anche le possessioni spiritiche, cosa che però andò sfumando con il tempo. Era considerato fondamentale nell'antica venerazione dei kami, sopravvivendo fino ad oggi.
    Le sacerdotesse che eseguivano questi riti erano comuni (le yorikidono, le sarume, le mikannagi, le naishi ecc.).
    Nel 1005, in seguito ad un grande incendio che ridusse in frammenti lo specchio, il kagura si trasformò in un rituale per la venerazione dello specchio di Amaterasu, per placare la dea. Da allora fu messo in scena in momenti di crisi e solo in seguito divenne una cerimonia abituale, praticata annualmente.

    Il mikagura era diverso dal kagura, ma manteneva alcune somiglianze: era eseguito di notte, alla luce di un falò e al cospetto di un "seggio di kami". Il suo concetto infatti era proprio quello di una manifestazione musicale al cospetto degli dei, con numeri comici e canti popolari.
    Fungeva sia da rituale che da spettacolo teatrale.

    D'estate venivano celebrati i goryoe, feste per la prevenzione delle epidemie, l'equivalente del moderno Gion.
    Questo offriva spettacoli di vario tipo, modello importante per le feste di tutto il Giappone, come ad esempio il dengaku ("ballo della risaia").
    Molti artisti erano pagati dai mecenati, mediante donazioni ai santuari.

    Le tradizioni teatrali giapponesi, tra cui il no, nacquero in questo contesto.
    Tema dominante nel teatro no era l'apparizione di kami e spiriti vari che finivano ad interagire con personaggi umani. Questo andava a testimoniare le sue origini nell'ambito delle feste dei tampli-santuari.
    La "via della poesia" e la "via dei kami" influenzarono il teatro no.
    Il no viene inoltre riconosciuto come una pratica buddhista che da accesso diretto alla comprensione dei buddha.


    La fine del mondo medievale.

    Nel Giappone medievale, il mito della caverna è stato reinventato per ricoprire un ruolo nuovo: dare origini mitologiche alle "vie" della poesia, della venerazione dei kami e del teatro no, che allora erano lodate come forme autonome e legittime di pratica buddhista.
    Il mito della caverna divenne così un canale attraverso il quale il dharma poteva influenzare le attività giapponesi.
    Cosa che cambiò nel passaggio all'epoca protomoderna (XVI/XVII secolo).
    I vecchi miti persero il loro fascino e gli insegnamenti segreti venivano considerati il prodotto di un passato antiquato.
    I miti non furono più visti come rivelazioni di una dimensione diversa, ma come parabole o resoconti criptati di eventi passati.
    La venerazione degli dei divenne una pratica di auto-coltivazione morale, allo scopo di realizzare la virtù innata della propria mente.
    Nel Giappone protomoderno, i miti diventano racconti morali, storici e patriottici.


    Kagura.

    Erano varie le forme di danze kagura; il mito della caverna ci dice che il kagura ha origini molto antiche. Nel tardo medioevo erano soprattutto due le forme diffuse:
    – quella incentrata sulla figura della miko, una medium che entrava in stato di trance e veniva posseduta da uno spirito, pronunciava poi un oracolo per gli abitanti del villaggio;
    – quella incentrata sulle danze kagura con "acqua bollente", in cui si ballava attorno a un grande calderone per poi schizzare l'acqua fuori da esso bagnando il pubblico, in un atto di purificazione, preghiera, o per sollecitare un oracolo.

    All'inizio del periodo Edo comparve un nuovo tipo di kagura.
    La danza tradizionale era una rappresentazione dell'apparizione di un kami, la cui trama era appena abbozzata se non inesistente, eseguita da esperti dei rituali come le miko, sacerdoti, divinatori yin yang (onmiyoji) e asceti di montagna (yamabushi).
    Il nuovo kagura invece era più simile ad una pantomima, presentava effetti scenici come nelle forme teatrali contemporanee ed avevano un copione.
    In questa forma si diffusero fino ad a diventare parte integrante dei rituali, diffondendosi rapidamente.
    Nel XVIII secolo in molti santuari vennero costruiti palcoscenici permanenti per il kagura.

    Il kagura della caverna divenne indispensabile nel rituale dei santuari, ma per le compagnie (come quella di Buzen) la "caverna" era il clou di tutto il programma.
    A Buzen il kagura veniva eseguito nei mesi invernali, cominciava di sera e proseguiva fino all'alba. La scena della caverna veniva lasciata per ultima, affinché coincidesse con l'alba.
    A Kasugai il kami veniva trasferito nel mikoshi nel momento stesso in cui Amaterasu usciva dalla caverna.
    A Fukushima vi era addirittura un modello scenografico, permanente, della caverna.

    Durante il periodo Edo, il mito era diventato un elemento comune nei rituali dei santuari. I miti classici erano entrati a far parte della cultura popolare.


    Il mito della caverna dopo la restaurazione Meiji.

    Il kagura era preso molto sul serio, considerato un buon metodo per insegnare la storia antica della nazione.
    Nel XIX secolo divenne particolarmente importante, a causa delle nazioni straniere che costrinsero il Giappone ad aprirsi.

    Nel XX secolo le rappresentazioni kagura furono riscritte e rimesse in scena. Le trame furono corrette in modo da concordare con il Kojiki, inserendo monologhi e dialoghi ricchi di frasi antiche.

    Nel 1882 il governo vietò ai sacerdoti di dedicarsi ad attività religiose, tra cui il kagura.
    Molti sacerdoti furono spinti, da questo, ad insegnare a compagni amatoriali le nuove opere, ritoccando il repertorio per far emergere il messaggio shinto. Questi insegnanti cercavano di mantenere equilibrio tra le tradizioni locali e le correzioni.
    Dopo la guerra queste opere divennero un mezzo di propaganda nazionalista per questo furono sottoposte ad ulteriori correzioni, mirate a far sì che passassero la censura.

    All'inizio del XX secolo la mitologia dei kami sfruttata per costruire il moderno stato-nazione giapponese, usata per inculcare il senso d'identità nazionale e di patriottismo nella popolazione.
    L'istruzione divenne obbligatoria e i libri di testo furono il veicolo principale per la diffusione di questo messaggio. I miti venivano considerati un prologo alla storia anche se andavano ad offuscare quelle che erano le vere origini della dinastia imperiale.

    Dopo la guerra, nei libri di testo, non venivano più menzionati i miti, facendo iniziare la storia con l'età della pietra.
    Ogni riferimento a miti e kami fu proibito, in quanto propaganda nazionalista.
    Il kagura cominciò a svanire, escluso in quanto esempio di folklore antiquato.
    La scomparsa dei miti ha dato modo di studiarli e analizzarli accademicamente, dando la possibilità di riscoprirli, facendoli entrare in una fase "postmoderna".

    Il daijousai: un rito "shinto" di ascesa al trono imperiale.

    L'insediamento sul trono dell'attuale imperatore, Akihito, ha avuto luogo nel 1989, dopo la morte del padre.
    Durante il rito senso ("assumere la carica di imperatore"), ha acquisito due delle tre insegne imperiali: la spada e il gioiello (kenji); la terza insegna è lo specchio (shinkyo), perennemente conservato nel santuario del palazzo imperiale.
    Il secondo rito, sokui, è avvenuto dopo un anno, e altro non è che una proclamazione pubblica della sua ascesa, giurando di osservare la Costituzione e di adempiere ai suoi doveri come simbolo dello Stato e dell'unità del popolo.
    Dieci giorni dopo seguì la terza fase del processo di intronizzazione, con il rito daijousai (rito della grande degustazione), tenutosi nel Daijoukyu (santuario della grande degustazione). Questo comprendeva tre strutture principali: i padiglioni kairyu, yuki e suki.
    Avvolto nello amo-no-hagoromo ("veste celestiale di piume") si purifica nelle acque del padiglione kairyu, nel padiglione yuki ha offerto riso e altro cibo ad Amaterasu, per poi servirsi da solo, ripetendo la stessa procedura nel padiglione suki.

    Nel 1946 il padre (Hirohito) aveva dichiarato di non essere un kami vivente, ciò nonostante il figlio è entrato in comunione con Amaterasu, lasciando intendere che comunque possedesse le qualità di kami.
    Il daijousai ha dato allora vita a dibattiti sul suo simbolismo.


    La disputa sul rituale.

    - Le controversie giudiziarie.
    In base alla Costituzione del dopoguerra, l'imperatore è il simbolo dello stato e dell'unità del popolo, non una divinità.


    - L'imperatore, il letto e il lenzuolo.
    Le controversie legali sono precedute da contestazioni sul suo significato, sugli oggetti simbolici presenti all'interno dei padiglioni.

    Orikuchi Shinobu interpretò questi fattori.
    Per lui il lenzuolo posto sul letto di entrambi i padiglioni, ricollegano il rito al mito della fondazione della dinastia imperiale.
    In questo Takami- musubi avvolge il lenzuolo intorno a Ninigi prima di inviarlo a governare il Giappone.
    L'imperatore si corica avvolto nel lenzuolo in attesa che Amaterasu entri nel suo corpo; in antichità il corpo dell'imperatore era considerato un recipiente per lo "spirito imperiale".

    Altri studiosi vedono il rito più come una metafora del grembo materno, definendolo un rito di rinascita. L'imperatore emerge come incarnazione di Nanigi.
    Oppure si consideravano il letto e il lenzuolo come un metodo per favorire i sogni, e quindi favorire il sogno del Paese.

    Il daijousai è soprattutto un banchetti rituale (elemento non presente nel mito). Infatti sono presenti più similitudini tra il rituale di intronizzazione sokui che precede il daijousai.
    Nelle fonti storiche poi non si parla mai del fatto che l'imperatore si avvicini ed usi il letto, né distendendovici né avvolgendosi nel lenzuolo.
    Non c'è un legame strutturale tra il rito e il mito di Ninigi.
    Si crede quindi che questi elementi siano lì non per l'imperatore, ma per Amaterasu. Il ruolo dell'imperatore era di ringraziare la dea per il raccolto, senza acquisire nessun attributo sacro.
    Però il consumo di riso è un momento di trasformazione, da uomo a sovrano.
    Il daijousai conferisce chiaramente al nuovo imperatore una qualità sacra, egli esce dal padiglione suki come sovrano sia terreno che cosmico, un uomo e contemporaneamente un kami. È un esercizio di potere la cui funzione è creare e ricreare un particolare ordine, incentrato sulla figura dell'imperatore.


    Il daijousai e lo stato-nazione moderno.

    - Il modello Meiji.
    Il daijousai del periodo Meiji è stato la più plateale affermazione dell'origine divina dell'imperatore.
    Il rito ha resto l'imperatore un sovrano attento all'aspetto filiale, poiché offre riso alla sua antenata per ricompensarla delle benedizioni.
    Inoltre fu un evento di portata internazionale.


    - L'imperatore Taisho e l'impero.
    L'imperatore Meiji regnò quarantacinque anni e al momento della morte la trasformazione del Giappone era completata. Suo figlio, l'imperatore Taisho, ricevette le insegne regali alla morte del padre, ed eseguì il sokui e daijousai nel 1915.
    L'intronizzazione rispecchiava quella precedente (del padre), ma fu regolata dalla nuova legislazione sulla successione. L'accorpamento del sokui e del daijousai fu una novità, e la fu anche la creazione di un ruolo per l'imperatrice. In più ebbe luogo una ridefinizione spaziale del rito, che si tenne a Kyoto (non a Tokyo), svolgendo il rituale sokui nel padiglione Shishinden del palazzo di Kyoto e il daijousai nel complesso daijou eretto nel giardino.
    Avvenne inoltre un lungo pellegrinaggio per i maggiori santuari del Paese che voleva informare della sua successione al trono gli antenati.

    Il governo voleva coinvolgere tutti i sudditi e lo fece in diversi modi:
    – dichiarò quei giorni festa nazionale;
    – il banzai delle tre e mezza fu ripetuto in ogni angolo del Giappone;
    – diede onorificenze ad alcuni sudditi e concesse un'amnistia generale;
    – inviati imperiali si recarono presso i principali santuari del Paese e vi tenero riti solenni;
    – tutti i santuari e gli edifici pubblici furono addobbati;
    – le prefetture vennero incoraggiate a inviare prodotti locali da esporre fuori dai padiglioni yuki e suki.
    Il giorno della salita al trono furono presenti diplomatici da tutto il Mondo.


    - Punti di vista sull'intronizzazione Showa.
    L'imperatore Taisho però non si adeguava al ruolo di sovrano e morì presto.
    Nel 1928 seguì l'intronizzazione del figlio, giorno in cui si decise di restare in silenzio, addirittura le emittenti radiofoniche interruppero le loro trasmissioni.


    I riti di intronizzazione e il daijousai nel Giappone protomoderno.

    - Le origini.
    Il daijousai è un rituale molto antico, ma non primordiale. È un'aggiunta fatta in seguito ad alcuni antichi rituali di intronizzazione. Non aveva nulla a che vedere con il riso o Amaterasu.
    Prima del regno di Jito, i sovrani abdicavano e consegnavano personalmente le insegne al proprio successore.
    Al tempo Jito gli esperti di rituali assunsero un ruolo importante nel trasferimento delle insegne regali, che venivano ora viste come oggetti sacri.

    I nuovi riti (senso, sokui e daijousai) furono sviluppati da Tenmu, come elementi di una nuova strategia di consolidamento del potere dopo la guerra jinshin, e come risposta ai cambiamenti avvenuti nel continente asiatico.
    Il timore era che il Giappone potesse essere presto invaso.


    - La scomparsa del daijousai.
    Nel X secolo (forse già dall'VIII), il daijousai aveva assunto la forma con cui è arrivato all'epoca moderna, ma non divenne né l'unico né il più importante emblema della sovranità dell'imperatore.
    Subirà anche grandi influenze dal buddhismo e per molte generazioni non sarà eseguito.


    - La ripresa del daijousai nel periodo protomoderno.
    Gli imperatori rinunciarono a governare il Giappone prima del regime militare di Tokugawa. Ma i vari shogun continuarono a tenere in grande considerazione la corte e le sue tradizione, tanto da esigere che gli imperatori si dedicassero allo studio, indagando anche sui rituali di corte.
    Il rituale era una tecnica per mantenere l'ordine nel regno.
    Il daijousai venne reintrodotto.

    L'idea moderna di daijousai comprende due teorie:
    – il rito ha avuto origine con Amaterasu che manda il nipote sulla terra con il dono di riso;
    – il rito ha un carattere nazionale e di stato che serve a unire l'imperatore trascendente ai suoi sudditi umani.
    Elementi che comparvero per la prima volta nel XVIII secolo.


    - Conclusioni.
    Il daijousai è un rito antico, le cui origini possono essere fatte risalire al VII secolo.
    È stato preceduto da riti di carattere universale come il trasferimento delle insegne regali e di intronizzazione.
    Nella sua forma iniziale, era legato al rito imperiale, ma non al mito di Ninigi; rievocava l'acquisizione del regno da parte dell'imperatore, che veniva considerato il discendete di Amaterasu.
    A questo si aggiunsero i riti buddhisti di intronizzazione, a cui seguì la sua scomparsa temporanea intorno al XVII secolo, ma non per questo gli imperatori furono considerati meno legittimi, finché il rito non assunse caratteri più moderni (XIX secolo circa). Questi significati moderni sono gli stessi che il rito ha mantenuto fino ai giorni nostri e che costituiscono un problema, andandosi a scontrare con la Costituzione.


    Problematiche nello Shinto contemporaneo.

    NAS: attività e programma.

    Per il NAS lo shinto riveste ancora il suo ruolo a livello statale, tipico del periodo anteguerra.
    Nel 1956 ha redatto un documento per i sacerdoti, il "Programma per una vita votata alla venerazione dei kami", che prevede tre compiti obbligatori:
    – rendere grazie ai kami e compiere i riti;
    – servire i kami e formare la società;
    – pregare i kami per la prosperità del Giappone e per la pace del Mondo.

    Nella categoria dei "grandi riti" troviamo le feste annuali dei santuari, i riti imperiali (kinen-sai e niiname-sai).
    Nella categoria dei "riti intermedi" troviamo il Capodanno, il genshi-sai, il kigen-sai, il kanname-sai, il Meiji-sai e il techo-sai, a cui in seguito furono aggiunti l'anniversario dell'imperatore Hirohito e i riti dell'equinozio per gli antenati imperiali.

    Campagna sempre portata avanti dal NAS fu quella per ricreare il carattere imperiale della società anteguerra, nei limiti concessi dalla Costituzione. Contribuì al ripristino del giorno di fondazione dello Stato come festa nazionale, alla nazionalizzazione della bandiera e dell'inno, alla legalizzazione dei nomi dei periodi imperiali.

    I suoi interessi fondamentali sono sempre stati l'imperatore e l'istruzione imperiale, il santuario di Ise, i progetti di emendamento della Costituzione, il santuario Yasukuni e la formazione etica.

    Parte della sua attività è affidata allo Shinto seiji renmei ("Lega politica shinto"), con cui propone: una società che tenga in considerazione l'istituzione imperiale; una nuova Costituzione; la celebrazione di riti nazionali allo Yasukuni; un nuovo sistema scolastico; la fondazione di una nazione con valori etici invidiabili.

    Idealizza il principio anteguerra per cui i santuari appartengono alla corte imperiale, non alla comunità locale né ai sacerdoti. Infatti questi non sono stipendiati dal NAS, che neanche sostiene i santuari locali, chiedendo anzi un contributo (una somma in base al numero e al grado dei sacerdoti del santuario).

    Dal punto di vista giuridico tutti i santuari sotto il suo coordinamento sono uguali, ma Ise fa parte di una categoria differente, tra i "santuari di categoria speciale". Tutti i santuari dedicati ai caduti in guerra, i vecchi santuari ichi-no-miya, i ventidue santuari (nijunisha) e i santuari di prefettura del periodo Mieji.
    Secondo il NAS, i santuari hanno la funzione di legare il popolo ad Amaterasu, al mito imperiale e all'istituzione imperiale.

    Le occasioni principali in cui la gente si reca ai santuari sono:
    – il Capodanno;
    – riti di passaggio per i bambini;
    – preghiere per il benessere familiare.
    Nessuno vi si reca per motivi patriottici o relativi all'imperatore. Molti giapponesi non conoscono neanche il proprio santuario di zona.


    Oltre al NAS.

    Vi sono organizzazioni religiose consapevoli della propria appartenenza allo shinto.
    Poi c'è il culto nazionale di Inari.


    - Le scuole religiose shinto.
    Le religioni shinto kyoha, si autodefiniscono tali, motivando il fatto che ciascuna di queste è incentrata sulla venerazione di un kami.
    Dopo la guerra possiamo distinguere tredici scuole religiose shinto riconosciute a livello statale, che andarono a formare la Federazione delle scuole religiose shinto.
    Il Tenrikyo e il Konkokyo costituivano l'eccezione alla regola secondo cui i gruppi shinto erano basati sulla fede nei kami.


    - Fushimi Inari.
    Il santuario Fushimi Inari di Kyoto si rifiutò di accettare l'idea della NAS. Organizza infatti i propri programmi di formazione dei sacerdoti e rilascia loro le licenze.
    Oggi il santuario venera tre kami collegati all'istituzione imperiale:
    – Uka-no-Mitama, identificato con il kami Inari ("portatore di riso");
    – Ame-no-Uzume;
    – Saruta-hiko.
    I santuari Inari sono esteticamente riconoscibili grazie alla presenza di statue di volpi bianche.
    Aveva un forte legame con il buddhismo.


    - Lo Yashukuni e i suoi problemi.
    Lo Yasukuni è il santuario di Tokyo per i caduti di guerra.
    Le preghiere per il nuovo anno, fatte in questo santuario, invocano la pace della nazione e del popolo.
    Si differenzia da altri luoghi dedicati ai caduti di guerra è che in Giappone questi vengono rivendicati da un'organizzazione religiosa, sotto forma di santuario shinto, ospitati e venerati in veste di kami, e definiti eirei ("spiriti gloriosi").
    È il santuario più vicino al cuore dello shinto, esprime valori associati all'imperatore ed è legato all'istituzione imperiale.
    Inviati imperiali si recano in questo santuario per porgere offerte in nome dell'imperatore stesso, poiché i caduti sono morti per lui. Vengono venerati in quanto modelli di quei valori etici che le istituzioni shinto reputano la salvezza del Giappone.
     
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