Riassunto "Che cos'è il Buddhismo?" di Donald S. Lopez Jr.

Religioni e Filosofie dell'Asia Orientale - D. Rossi

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Ghəi Chinəsi

    Group
    Orietta Berti Fanz
    Posts
    18,692
    depravazione
    -603

    Status
    Offline
    Che cos'è il Buddhismo?
    di Donald S. Lopez Jr.


    L'universo.

    L'universo non ha inizio. È prodotto dal karma (delle azioni individuali e/o collettive degli esseri):
    – le azioni virtuose creano felicità nel futuro;
    – le azioni non virtuose creano dolore.

    Gli esseri rinascono ciclicamente (senza inizio) nei sei regni:
    – dei: non sono immortali, ma vivono a lungo, prima di morire hanno una visione della loro vita futura, in cui rinasceranno quasi sicuramente in un regno inferiore poiché sono intossicati dal piacere, provando intensa sofferenza; la loro morte è accompagnata da sei segni:
    • il loro splendore si indebolisce;
    • il trono diventa scomodo;
    • il corpo suda;
    • le ghirlande di fiori che hanno al collo appassiscono;
    • i servitori si avvicinano con riluttanza;
    • il palazzo si riempie di polvere;
    – semidei: meno potenti degli dei – con cui sono sempre in guerra a causa della gelosia - ma più potenti degli uomini;
    – uomini: ancora considerato un luogo di rinascita fortunato;
    – animali: da qui in poi sono considerati regni di rinascita sfortunata poiché la sofferenza a cui l'essere è sottoposto è più intensa; gli animali soffrono perché sempre alla ricerca di cibo ed evitando di diventare cibo loro stessi;
    – fantasmi: (peta, defunto in sanscrito) alcuni abitano anche il regno umano e sono visibili ad uomini spiritualmente avanzati, soffrono la fame e la sete (fantasmi affamati) alla cui ricerca si frappongono vari ostacoli; si pensa siano spiriti erranti di defunti a cui i familiari non hanno fatto offerte necessarie;
    – esseri infernali.
    Il ciclo della rinascita è chiamato samsara (peregrinazione, in sanscrito).

    Nel buddhismo non si parla solo di giorni, mesi e anni, ma anche di eoni.
    L'universo attraversa quattro periodi:
    – creazione: quando nasce l'universo materiale, con il karma passato degli esseri che soffia come vento nella vacuità dello spazio a seguito della fase di "nulla";
    – durata: periodo in cui gli esseri popolano il mondo;
    – distruzione: l'universo viene incenerito dal calore dei sette soli;
    – nulla: da qui il ciclo ricomincia.

    Mito della creazione (pag.25):
    – narra la caduta da uno stato di luminosa libertà fino alla schiavitù sulla terra;
    – la durata della vita umana si ridusse ad un secolo a causa del declino;
    – perciò il Buddha fece la sua comparsa.

    Gli insegnamenti del Buddha hanno una durata.
    Predizioni (pag.26).
    Apparirà il prossimo Buddha Maitreya.
    Dopo venti cicli l'universo verrà distrutto.
    L'umanità vive su un mondo piatto al cui centro c'è il monte piramidale Meru (facce d'oro, argento, lapislazzuli e cristallo), circondato da sette catene concentriche; oltre si estende l'oceano con continenti-isole ai quattro punti cardinali: gli uomini vivono sul continente a meridione (Jambudvipa, Isola della melarosa), rivolto al versante di lapislazzuli.
    La cima del monte è piatta e su di esso c'è il Cielo dei trentatré, popolato da antichi dei.

    Questo mondo ospita sei regni, che a loro volta formano il Regno del desiderio:
    – il primo, il regno degli dei;
    – quello che si trova più in basso, il regno dei re delle quattro direzioni (che regnano sui quattro versanti del monte).
    Sopra i cieli del Regno del desiderio troviamo:
    – il regno della forma: dove gli esseri sono attaccati alla bellezza, ma liberi dal desiderio;
    – il regno (dei) senza forma: i paradisi più alti, abitato da dei privi di forma che corrispondono a stati di profonda concentrazione: assorbimento nell'infinito spazio, conoscenza, nel nulla e né esistenza né non esistenza, comunque legati al ciclo della rinascita.

    Gli inferni sono otto caldi e otto freddi, quattro contigui e numerosi altri.
    – Caldi: terre di ferro rovente poste l'una sull'altra nelle profondità della terra, e gli abitanti sono sottoposti a torture:
    • Rivivi: si nasce già impugnando armi e combattendo, quando si viene uccisi una voce grida "rivivi" e si ricomincia;
    diviso in varie zone a seconda delle cattive azioni; la durata in questo inferno è la più breve, ma equivale a cinquecento anni composti da giorni pari a cinquecento degli anni nel nostro mondo;
    • altri inferni: varie torture spesso con il fuoco;
    – Freddi: sterili lande desolate di neve e ghiaccio, tenebre perenni (Vesciche enfie, Gemito, Batter di denti, Fenditura simile a un loto ecc.);
    – Contigui: (Ceneri roventi, Palude di cadaveri, Strada delle lame, Fiume ribollente).


    La realtà.

    Credere a ciò che si percepisce porta soltanto a sofferenza, mentre comprendere la realtà conduce alla libertà dalla sofferenza.
    A prescindere dalla presenza di Buddha, la realtà rimane immutata.

    Dottrina del non sé.
    Comprenderlo significa comprendere chi siamo sempre stati.
    Un sé permanente, autonomo e indivisibile è un'illusione, credere in questo è causa di sofferenza.
    Elementi costitutivi della mente e del corpo (forniti dal Buddha stesso), divisi in cinque gruppi (skandha, aggregamenti):
    – la forma: forme visibili, impercettibili, suoni, odori, gusti ecc;
    – la sensazione: frutto di azioni passate
    • piacevole, ciò che si desidera sperimentare di nuovo una volta finito;
    • dolorosa, ciò da cui si desidera essere separati al suo apparire;
    • neutra, l'indifferenza;
    – discriminazione: innata facoltà di distinguere la diversità tra gli oggetti;
    – coscienza: ha sei forme:
    • coscienza visiva, percepisce colori e forme;
    • coscienza uditiva, percepisce suoni;
    • coscienza olfattiva, percepisce odori;
    • coscienza tattile, percepire oggetti;
    • coscienza mentale, percepire fenomeni (ciò che esiste).
    – "tutto ciò che non è stato esposto sin qui".
    Questo definisce una persona.
    Negli aggregati non c'è nessun sé, la persona è un processo di cause ed effetti mossi dal karma.

    La dottrina del "non sé" venne variamente interpretata nel corso della storia. I Vatsiputriya sostennero l'esistenza del "sé inesprimibile" che passa da una vita all'altra. Una dottrina chiaramente eretica, ma molto popolare.

    Circa quattro secoli dopo la morte del Buddha, nacque il movimento Mahayana (grande veicolo) ed iniziarono a comparire discorsi del Buddha autodefiniti sutra della "perfezione della saggezza", denominati dalla loro lunghezza in versi. Esaltano la conoscenza della vacuità (unyata), la verità sta nel fatto che tutti i fenomeni sono vuoti.
    "Non vedere nulla è vedere tutto".

    Nagarjuna un noto autore a cui dobbiamo la sistematizzazione di questa assenza (pag.32).
    "Trattato sulla via di mezzo":
    – Analizza temi come il movimento, la visione, il karma, la sofferenza, la liberazione, le quattro verità e la buddhità, per dimostrare la vacuità.
    – Indicava una via di mezzo, la quale forniva un approccio migliore all'illuminazione, tra gli estremi di esistenza e non esistenza (a differenza di Buddha che, nel suo primo discorso, aveva indicato la via di mezzo tra gli estremi della permissività totale e dell'ascetismo eccessivo). Il significato dei termini da lui usato fu oggetto di dibattito, per questo Nagarjuna sembra voler aiutare nell'interpretazione equiparando i termini di vacuità, produzione dipendente e via di mezzo.
    – La "produzione dipendente":
    • indica una sequenza casuale di dodici punti (ignoranza, azione, coscienza, nome e forma, sensi, contatto, sensazione, attaccamento, brama, esistenza, nascita, vecchiaia e morte);
    • tutto viene in esistenza in dipendenza da qualcos'altro (a ciò assimila la vacuità alla via di mezzo);
    • un commentatore di Nagarjuna spiega che la definizione di "sé" è: ciò che non dipende da altro.
    – Anche "sé" è un'illusione, crederci è ignoranza e capire che non esiste è saggezza, la perfezione sta in questo. La vacuità non è la negazione dell'esistenza, ma l'assenza di un determinato tipo di esistenza (indipendente da altri fattori).
    – Produzione dipendente e vacuità sono sinonimi perché insieme rappresentano la via di mezzo tra l'esistenza e la non esistenza.
    – Le categorie fondamentali sono vuote perché dipendenti: da cause, parti e dalla mente.
    – Il suo scopo è dimostrare che le categorie fondamentali dell'esperienza sono vuote perché dipendente: da cause o dalla mente umana.

    "Tutto è possibile per chi ritiene possibile la vacuità".
    La vacuità consente il cambiamento e la trasformazione, e il raggiungimento della saggezza, passando dal samsara alla buddhità.

    Nagarjuna, per spiegare il mondo, introduce la dottrina delle due verità:
    – verità ultima: oggetti della conoscenza ultima, la mente che percepisce direttamente la realtà, la vacuità;
    – verità convenzionale: (verità per coloro che sono ottenebrati dall'ignoranza) ciò che esiste nell'universo e che non è vacuità, dalla forma alla mente onnisciente del Buddha; non sono vere.
    Senza verità convenzionali non sarebbe conoscibile la verità ultima. Il rapporto tra queste due è come quello tra un oggetto e la sua vera natura (solo una delle molte interpretazioni della natura della realtà).


    La fine.

    Nelle scritture buddhiste non troviamo nessuna descrizione di una fine.
    Ne troviamo di dettagliate su ciò che avviene prima, fino alla distruzione dell'universo fisico che porta ad un'involuzione, ma questo è solo un passaggio, uno stato temporaneo prima che inizi un nuovo ciclo di creazione.
    Il Buddha si rifiutò di rispondere a domande riguardanti la fine dell'universo.
    In India si sosteneva sia la teoria che riteneva il samsara infinito (come una costante né positiva né negativa, inarrestabile), sia quella che lo riteneva finito. Questa seconda linea di pensiero vedeva il samsara come frutto dell'ignoranza e l'antidoto è la comprensione che non esiste nessun sé. Il samsara avrà fine quando verrà cancellata l'ignoranza.
    Le impurità che danno origine al ciclo di nascita, vecchiaia, malattia e morte, sono accidentali; la mente è più reale delle contaminazioni e seguendo il sentiero buddhista si possono rimuovere. Sentiero che rimane sconosciuto fino all'apparizione del Buddha, un essere perfetto tanto da avere un'intuizione da lungo tempo dimenticata e che la condivide con il mondo.


    Il Buddha.

    Il Buddha nacque come principe, figlio di un re nell'attuale Nepal; la data della sua nascita è ignota (563 a.C. altri la posticipano anche di cento anni); (pag.40).
    La madre sognò un elefante bianco che le entrava nel ventre e dieci mesi lunari più tardi il bambino nacque dal suo fianco destro, mentre passeggiava in un giardino. Fu subito in grado di camminare e parlare, ad ogni suo passo un fiore di loto sbocciava sotto i suoi piedi e annunciò che quella sarebbe stata la sua ultima nascita.
    Venne chiamato Siddhartha (colui che raggiunge il suo scopo) e il nome del clan era Gautama.
    Il padre ordinò che gli venisse predetto il futuro, sarebbe diventato o un grande re o un grande asceta (in sette erano insicuri su entrambe, mentre un altro non ebbe dubbi sulla seconda).
    Fece di tutto per allontanare il figlio da qualunque cosa lo avesse potuto portare all'ascetismo, gli donò tre palazzi (inverno, estate e stagione delle piogge), lo circondò di donne bellissime e di ogni cosa potesse desiderare, facendo in modo che non vedesse mai la vecchiaia, la malattia o la morte.
    Siddhartha eccelleva in tutto ed era così appagato dalla sua vita da non manifestare nessuna curiosità per l'esterno gino ai ventinove anni, quando chiese al padre di fargli fare un giro per la città. Egli acconsentì allontanando, malati, vecchi e persone dall'aspetto sgradevole dal suo cocchio. Ma un vecchio sfuggì al controllo e fu visto dal principe, che si fece spiegare tutto dal cocchiere ed infuriato tornò al palazzo.
    Dopo di allora uscì dalle mura del palazzo per altre tre volte in cui vide un malato, un cadavere ed un asceta in meditazione sotto un albero. Chiese allora il permesso al padre di lasciare la città e ritirarsi nella foresta. Il padre glielo negò.
    Si ritirò nel suo harem, ma fu disgustato e proclamò che le donne sono impure per natura e decise di partire alla ricerca di uno stato al di la della nascita e della morte.
    Partì lasciandosi alle spalle tutto, scambiando le sue vesti con l'abito del servitore, nutrendosi di ciò che gli sarebbe stato deposto nella ciotola.
    Per sei anni visse errando, discepolo di vari maestri di meditazione, considerando però tutto ciò ancora parte del samsara. Si uni quindi a cinque asceti che si dedicavano a pratiche di automortificazione, si nutrì di un solo chicco di riso ed una sola goccia d'acqua al giorno, ma un giorno perse i sensi e capì che la mortificazione non era la via della liberazione.
    I compagni lo abbandonarono e Siddhartha si andò a sedere ai piedi di un albero decidendo di non alzarsi finché non avesse trovato ciò che stava cercando da tanto.
    Erano passati sei anni da quando aveva lasciato il palazzo, meditò tutta la notte.
    Venne assalito da Mara (il dio del desiderio), che lo attaccò con nove tempeste (di vento, pioggia, sassi, armi, carboni ardenti, ceneri ardenti, sabbia, fango e tenebre). Siddhartha rimase imperturbabile. Mara mandò a tentarlo dalle sue tre figlie: Lussuria, Sete e Scontentezza. Siddhartha rimase impassibile. Allora Mara contestò al principe il diritto di occupare la terra su cui sedeva poiché gli apparteneva, Siddhartha allungò la mano e tocco il terreno, chiedendo alla dea della terra di testimoniare a favore del suo diritto di sedervi. Mara si ritirò ed il principe continuò a meditare. Ebbe la visione delle sue vite passate che lo portarono alla comprenzione dell'identità personale. Vide il funzionamento della legge del karma. Nella terza veglia si trasformò e divenne buddha.
    La profondità dell'esperienza lo indusse a rimanere accanto all'albero per sette settimane.
    Quando due mercanti si avvicinarono per offrirgli cibo lui gli donò una ciocca dei sui capelli (il primo dono che fece fu una reliquia). Incerto su da farsi fu spinto dal dio Brahma ad insegnare ciò che aveva appreso.
    Cercò di raggiungere i suoi cinque compagni nel parco dei cervi a Sarnath. A loro espose le "quattro nobili verità" (verità, da "arya" in sanscrito, che significa superiorità di carattere e di conoscenza; quattro verità per il nobile di spirito).

    L'episodio ci illustra come il Buddhismo abbia subordinato gli dei dell'India (o di altre zone dell'Asia) all'autorità del Buddha, stesso processo avvenuto in altri Paesi dell'Asia.


    Le quattro verità.

    "Quattro nobili verità" è un termine frutto di una traduzione fuorviante. Nobile viene tradotto da "arya", "superiore". Il Buddha usava questa parola con il senso di superiorità di carattere e di conoscenza (non al sangue e alla nascita come il senso che si da alla parola "ariano"); (pag.44).

    La verità della sofferenza (prima).
    La sofferenza è la sensazione che può affliggere il corpo o la mente: nascita, invecchiamento, malattia, morte, perdita di amici, acquisto di nemici, non trovare ciò che si desidera, trovare ciò che non si desidera.
    Il piacere è la forma più sottile di sofferenza poiché qualunque fonte di piacere diventa poi fonte dolore. Anche dette sofferenze da cambiamento da cui bisogna astenersi consapevolmente.
    La sofferenza da condizionamento è ancora più sottile, tutti sono condizionati dalle azioni passate.

    La verità dell'origine della sofferenza (seconda).
    Causa immediata della sofferenza è il karma, i semi delle azioni virtuose e non virtuose del passato, nella vita presente così come in migliaia di vite fa.
    Dieci azioni non virtuose:
    – tre sono fisiche: uccidere, rubare, condotta sessuale scorretta (avere rapporti contro la volontà dell'altro o con una persona che ha fatto voto di celibato);
    – quattro sono verbali: menzogna, linguaggio che crea divisioni, linguaggio aspro, vana chiacchiera (discorsi mossi da desiderio, odio o ignoranza);
    – tre sono mentali: brama, intenzione di recare danno, errata visione (posizioni filosofiche non buddhiste).
    Ogni azione ha un peso diverso, ma l'intenzione è di primaria importanza.
    Le cinque colpe più efferate:
    – parricidio;
    – matricidio;
    – uccisione di un arhat;
    – ferimento intenzionale del Buddha;
    – provocare uno scisma nella comunità dei monaci e delle monache.
    Ogni essere porta i semi di infinite rinascite nel samsara, frutto delle azioni nelle vite precedenti. Non si può smettere di agire per arrestare questo circolo, ma piuttosto mettere fine alla causa di certe azioni: le afflizioni.
    Le afflizioni (klea) sono gli stati negativi della mente: orgoglio, dubbio, invidia, disprezzo, avarizia, distrazione e risentimento. Tra questi primeggiano i "tre veleni": il desiderio, l'odio e l'ignoranza (il principale).
    L'ignoranza è intesa come il fraintendimento della natura delle cose; i vari fraintendimenti sono riassunti nelle quattro visioni errate: vedere l'impermanente come permanente, lo sgradevole come gradevole, il doloroso come piacevole, il non sé come sé.

    La verità della cessazione della sofferenza (terza).
    È la meta stessa.
    Tale cessazione è il nirvana: non è un luogo, ma l'assenza di sofferenza sia presente che futura.
    Vengono descritti due tipi di nirvana:
    – nirvana con residuo, quello ottenuto da Siddhartha sotto l'albero della bodhi, con la distruzione di tutti i semi delle future rinascite, ma con l'azione ancora in corso del karma prodotto nel presente fino alla morte;
    – nirvana senza residuo, o nirvana finale, quello in cui si entra al momento della morte.
    Il nirvana non è né la distruzione di qualcosa né un luogo in cui si va, piuttosto è l'assenza determinata dalla rimozione di tutto ciò che rende una persona tale.

    La via che porta alla cessazione della sofferenza, il sentiero che conduce al nirvana (quarta).
    Si divide in tre addestramenti:
    – etica, (ila) l'astensione dalle azioni non virtuose del corpo e della parola;
    – meditazione (samadhi), stato di concentrazione i cui la mente rimane fissa su un oggetto prescelto per un determinato periodo di tempo;
    – saggezza salvifica (prajna), la comprensione dell'inesistenza del sé a un profondo livello concentrativo (livello della tranquillità) altrimenti non sarà possibile distruggere i semi della futura sofferenza e della rinascita. L'applicazione al riconoscimento dell'assenza di un sé genera uno stato detto intuizione (vipayana), solo a questo livello i semi verranno distrutti ed è impossibile arrivarci senza aver superato gli altri due. La meditazione varia a seconda della tradizione, ma in generale implica l'analisi del proprio corpo e della propria mente per componenti alla ricerca dell'entità autonoma, fino alla conclusione dell'assenza del sé.

    Nelle tradizioni più antiche (e nel Theravada) si diceva che il sentiero verso il nirvana attraversasse quattro stadi:
    – entrata nella corrente, che porta alla distruzione dei semi delle future rinascite in forma di animale, fantasma e essere infernale, portando ad un massimo di sette rinascite;
    – colui che ritorna una volta sola, che rinascerà una sola volta prima di entrare nel nirvana;
    – colui che non fa ritorno, avendo distrutto tutti i semi;
    arhat (degno di venerazione), che entra nel nirvana nel momento stesso della morte.
    Questi quattro stadi possono essere percorsi in molte vite o in una sola, anche da un laico, benché nella tradizione theravada un laico che diventa arhat deve prendere l'ordine monastico entro sette giorni. Un corpo di un laico non purificato dai voti monastici era ritenuto incapace di sopportare lo stato di illuminazione.

    Un'altra formulazione della quarta verità è "l'ottuplice sentiero", composto da: retta azione, retta parola, retti mezzi di sostentamento, retta visione, retta consapevolezza, retta meditazione, retta intenzione e retto sforzo.
    Questi rientrano nei tre addestramenti:
    – addestramento all'etica (retta azione, retta parola, retti mezzi di sostentamento);
    – addestramento alla meditazione (retta consapevolezza, retta meditazione, retto sforzo);
    – addestramento alla saggezza (retta visione, retta intenzione).
    Le quattro verità sono presentate a coppie ed ognuna di esse è l'effetto in rapporto causa-effetto: la sofferenza è l'effetto dell'origine, la cessazione è l'effetto del sentiero; la prima coppia va abbandonata e la seconda va coltivata. Le verità non seguono l'ordine temporale poiché l'effetto precede la causa: tutto è effetto di una causa. Se la causa viene individuata e annullata anche l'effetto scompare. Questo è il senso delle prime due verità: la prima è l'effetto, la sofferenza deve essere riconosciuta come tale; la seconda presenta una serie di cause all'origine della sofferenza, la causa immediata è il karma negativo.


    Gli ultimi giorni del Buddha.

    Il Buddha, dopo l'illuminazione, passo i quarantacinque anni successivi in giro per l'India, ad insegnare il dharma.
    Chi decideva di rinunciare alla propria vita per seguirlo si univa al Sangha: la comunità dei monaci e delle monache.
    La maggior parte dei seguaci non rinunciò alla propria vita per entrare a far parte del sangha, e rimase allo stato laico.

    Hariti (pag. 54).

    L'entrata del Buddha nel nirvana (pag. 56) avviene mentre lui era serenamente disteso sul fianco destro, circondato da ogni sorta di esseri umani, dei e animali. Gli arhat avevano un espressione serena sul viso, mentre gli altri esseri piangevano, per la devozione e la sofferenza causata dal non poter più udire i suoi insegnamenti e trarne beneficio.

    Si dice che il Buddha avesse chiesto di essere cremato e che le sue reliquie fossero distribuite tra i vari gruppi di fedeli, le quali sarebbero state conservate negli stupa: reliquari dalla forma semisferica. Questi divennero il punto di riferimento che indicava la presenza del Buddha nel territorio, situati in punti che risulterebbero essere collegati alla sua stessa vita.
    Non si riteneva che gli stupa contenessero ceneri e frammenti d'osso, ma il Buddha stesso poiché le reliquie erano permeate delle sue stesse virtù, perciò il luogo in cui erano conservate veniva considerato come il suo sostituito. Vedere lo stupa è vedere Buddha.


    I corpi del Buddha.

    La biografia del Buddha apparve circa sei secoli dopo la sua morte, ma venne comunque accettata (più o meno) allo stesso modo da tutta la comunità buddhista. Le divisioni tra le scuole buddhiste riguardarono infatti gli insegnamenti.

    Mahayana (grande veicolo), comincia ad apparire nei testi circa quattro secoli dopo la morte del Buddha, questi erano definiti "sutra mahayana", e assunse un ruolo importante in Cina, Tibet, Mongolia, Corea e Giappone. Sembrerebbe aver inizio con la produzione di testi, che si presentavano come parola autentica del Buddha. Questi ovviamente apparvero molto dopo la sua morte e ciò fu spiegato come: il Buddha sapeva che quanto aveva insegnato in quei sutra sarebbe stato frainteso se fosse stato diffuso tra i suoi contemporanei, perciò vennero nascosti e tenuti al sicuro finché i tempi non fossero stati maturi. Altri sutra si dicevano divinamente ispirati, uditi, e messi per iscritto da persone dotate del potere della chiaraudienza.
    Le concezioni erano nuove, tra cui quella che riguardava il Buddha. Il "Sutra del loto" spiega che Buddha simulò soltanto la sua morte poiché se fosse rimasto nel mondo i suoi seguaci non avrebbero non si sarebbero sottratti alla rinascita, perciò finse soltanto di entrare nel nirvana. La durata della sua vita è incalcolabile. I sei anni di ascetismo furono solo un pretesto, in realtà era diventato un buddha eoni prima, simulò quindi, per ispirare il mondo.

    Dharmakaya: identifica il corpo di Buddha a cui ci si rivolge per rifugio, un corpo metaforico, una raccolta delle sue qualità, del dharma. Il Buddha aveva un corpo fisico, "corpo di mente" o "di emanazione", quello che nacque come Siddharta; un secondo corpo che usava per fare miracoli, che raggiunse l'illuminazione e insegnò il dharma.
    Nel mahayana questo venne rielaborato: il corpo di emanazione divenne l'unico corpo apparso nel mondo e visibile agli esseri umani. Inoltre il Buddha non era confinato in un'unica forma, ma poteva acquisire qualunque forma volesse. Il vero Buddha era il dharmakaya, andando con questo termine ad indicare qualcosa di più cosmico.

    In Tibet ciò venne impiegato in modo più ampio, con il declino della monarchia il potere passò ai monasteri. In alcuni casi l'autorità passava da monaco a nipote (poiché non avevano figli), ma attorno al XIV secolo si sviluppò una forma di successione che vedeva i grandi maestri scegliere la loro successiva rinascita e perciò l'incarnazione di tale soggetto si poteva ritrovare in un bambino.
    Questo tipo di rincarnazione prende il nome di tulku (traduzione di nirmanakaya, corpo di emanazione).
    Per gli esseri ordinari la rincarnazione è un processo tormentoso, ignoto e di cui non si ha controllo, deve avvenire entro quarantanove giorni e sarà soggetto al karma; i lama incarnati sono però considerati dei buddha, che scelgono di tornare nel mondo per compassione, hanno pieno controllo del processo, non hanno limite di tempo e possono scegliere come rincarnarsi, addirittura in anticipo.

    I sutra mahayana rivelano inoltre l'esistenza di molteplici universi ("campi di buddha" o "terre pure"), ognuno con un proprio Buddha, vengono descritti come splendide dimore, lussureggianti, con ricchi giardini e uccelli che cantano versi del dharma e gli abitanti sono votati alla sua pratica. Divennero luoghi prediletti per le future rinascite e i buddha che vi presiedevano divennero oggetto di devozione (in particolare il Buddha della luce infinita, Amitabha, insieme alla sua terra chiamata Sukhavati). In altre terre pure i buddha si manifestavano in una terza forma: il corpo del godimento (sambhogakaya): in forma di giovane principe adorno dei trentadue segni maggiori e degli ottanta segni minori di un superuomo.

    Jataka: (storie delle nascite) in molte delle sue vite passate il Buddha fu un animale (lepre, elefante, principe, mercante, ultima vita come principe Siddhartha).


    Hinayana e Mahayana.

    I sutra mahayana cercavano di ridefinire la figura del Buddha e la struttura del suo sentiero.
    Quando vennero composti i sutra come quello del Loto pare che fossero delineati tre differenti sentieri accettati dalle scuole indiane:
    – sentiero del ravaka (uditore), che passava per gli stadi dell'entrata nella corrente, colui che ritorna una sola volta, colui che non fa ritorno, per finire con quello dell'arhat;
    – pratyekabuddha (colui che si è illuminato da se), praticato in solitudione e spesso in silenzio, si percorrevano gli stessi stadi del ravaka, ma senza affidarsi agli insegnamenti del Buddha e senza insegnare ad altri, una volta raggiunta l'illuminazione;
    – bodhisattva (chi aspira all'illuminazione), termine usato anche dal Buddha per indicare se stesso prima dell'illuminazione. Si tratta di persone che vengono in contatto con gli insegnamenti di un buddha e possono diventare arhat in quella stessa vita, ma preferiscono rimandare la loro liberazione per "seguire il sentiero lungo che conduce alla buddhità" in modo da indicare la via per il nirvana quando sarà stata dimenticata da tempo.

    Il concetto del sentiero del bodhisattva si ritrova nella storia di Sumedha (pag. 63).
    Il commento a questa storia elenca i requisiti per diventare un bodhisattva:
    – essere umani;
    – essere maschi;
    – essere in grado di ottenere la liberazione in una sola vita;
    – fare voto alla prensenza di un buddha vivente;
    – essere un asceta;
    – possedere potere yogici;
    – essere disposti a sacrificare la propria vita;
    – avere un grande zelo.

    Bodhisattva e ravaka non differiscono nella meta, ma nella difficoltà e lunghezza del percorso. I ravaka si affidano agli insegnamenti del Buddha, mentre i bodhisattva devono contare solo su loro stessi (non c'è nessun buddha che insegni loro) e il loro percorso è molto più duro e lungo. Il bodhisattva trova il nirvana con i propri soli sforzi e insegna la via al mondo.

    Gli esseri senzienti sono ignari del destino che li attende, perciò il Buddha li mette davanti a tre veicoli, poiché hanno interessi e predisposizioni differenti. Solo quando sono in salvo dal samsara gli rivela che il veicolo è uno solo: il grande veicolo, quello di Buddha. Nel Sutra del loto si afferma l'esistenza di questo unico veicolo su cui tutti saliranno (arhat compresi), che li condurrà lungo la via del bodhisattva sino alla buddhità (pag.65).

    Il Buddha non sempre insegna la verità ultima, ma solo ciò che è utile in quel momento. Ciascuno sente quello che è più adatto per sé.
    Ciò serve anche a giustificare le discrepanze con il credo precedente.

    Hinayana (piccolo veicolo, hina è un termine peggiorativo "mediocre", è un termine derisorio) non è un equivalente della scuola Theravada e non può neanche essere usato per indicare le scuole (trentaquattro) scomparse.

    Nei secoli successivi alla morte del Buddha il suo lascito cadde sotto al controllo dei potenti monasteri, con la conseguente produzione di testi che offrivano una visione e degli ideali diversi.
    Le accuse furono molte e diffuse, introdotte negli stessi sutra mahayana.
    I sutra iniziano spesso con un membro dell'assemblea che si alza per fare una domanda a cui il Buddha da una risposta breve a cui viene richiesta un'ulteriore elaborazione, fino a formare il testo completo. In alcuni troviamo un gruppo di monaci che si alza e se ne va prima che il Buddha inizi il discorso, come nel Sutra del loto, a simboleggiare che alcuni membri della comunità lo rifiutarono.
    I testi mahayana difendono la propria parola come autentica del Buddha, ma in "Fiamma del ragionamento", un testo del VI secolo, vengono elencate le accuse mosse dai ravaka:
    – i sutra mahayana non comparivano nelle compilazioni delle parole del Buddha;
    – affermando che il Buddha è eterno, contraddice l'insegnamento secondo cui tutti i fenomeni condizioinati sono impermanenti;
    – insegnando che il Buddha non entrò nel nirvana, sottintende che non è il definitivo stato pacificato;
    – sminuisce gli arhat e pone i bodhisattva al di sopra del Buddha;
    – affermando che il Buddha fu un'emanazione, distorce l'intero insegnamento.

    Le difese furono molteplici affermando che:
    – il mahayana è un efficace antidoto alle afflizioni del desiderio, dell'odio e dell'ignoranza, quindi deve essere stato insegnato dal Buddha;
    – i sutra mahayana sono molto efficaci nel tracciare un sentiero alla buddhità per tutti gli esseri;
    Questa linea difensiva si trova ancora negli ultimi testi del buddhismo indiano.
    Il Mahayana non si ritiene una scuola precisa del buddhismo indiano, si presenta come un'aggiunta. Esso deve essere rimasto un movimento minoritario per tutto il corso della sua storia in India, per poi predominare al di fuori di essa.


    Il bodhisattva.

    Per diventare bodhisattva bisogna sviluppare il bodhicitta (aspirazione all'illuminazionie): l'impegno a raggiungere la buddhità allo scopo di liberare tutti gli esseri senzienti dalla sofferenza, impegno che si prende sotto forma di voto.
    Il bodhisattva conduce tutti gli esseri nella buddhità prima di diventare un buddha egli stesso. È la volontà di liberare tutti dalla sofferenza, non è compassione o pietà. Non sembra essere un desiderio naturale o spontaneo, ma coltivato facendo uso di varie tecniche: una deriva dalla dottrina della rinascita, per cui tutti gli esseri si sono probabilmente incontrati, sono stati in relazione, in qualche vita precedente, quindi questa tecnica si basa sul rapporto madre-figlio. Ogni essere dell'universo è stato la nostra madre umana in una vita passata. Quando il desiderio di diventare un buddha per liberare tutti gli esseri è diventato spontaneo ed intenso nello stesso modo in qualsiasi situazioine, il meditante è diventato un bodhisattva.

    Santideva, poeta indiano del VIII secolo, afferma che tutta la sofferenza è causata dall'atteggiamento che ha cura solo di sé, e che tutto il dolore può essere ricondotto al desiderio di cercare il proprio benessere prima di quello degli altri. Falsa nozione di sé. Quindi dovremmo abbandonare la preoccupazione per il nostro benessere.
    Paragona la condizione degli esseri del samsara, che cercano il benessere personale in modo ossessivo trovando solo sofferenza, al Buddha che invece decise di rinunciare al proprio benessere per la felicità altrui.
    Dedicarsi al benessere altrui viene considerato il mezzo più efficace per raggiungere la vera felicità. L'attuale Dalai Lama lo chiama "saggio egoismo".
    Santideva distingue anche due forme di bodhicitta:
    – la mente che aspira al risveglio, la voglia di mettersi in viaggio;
    – la mente che procede verso il risveglio, la partenza vera e propria.
    La messa in pratica del bodhicitta (la seconda) viene esposta nelle sei perfezioni, le azioni dei bodhisattva.
    Il bodhisattva era considerato una persona capace di impegnarsi, qualcuno che pur potendo seguire il sentiero dell'arhat (più breve) sceglie la via più lunga e complicata.

    Nel mahayana si riscontrano due ostacoli da superare sulla via dell'illuminazione:
    – impedimenti alla liberazione: le afflizioni del desiderio, dell'odio e dell'ignoranza, che vanno distrutte mediante la saffezza;
    – gli impedimenti all'onniescenza: le forme di ignoranza più sottili e radicate che fanno apparire gli oggetti in modo illusorio e impediscono la conoscenza simultanea di tutti i fenomeni dell'universo.
    Il bodhisattva (a differenza degli arhat che si liberano solo degli impedimenti alla liberazione) cerca di annullare entrambi e lo fa grazie alle virtù ("perfezioni"). Alcuni testi theravada ne elencano dieci, ma la lista classica ne prevede sei:
    – dare: disponibilità a donare qualunque cosa di cui gli esseri abbiano bisogno;
    – etica: mantenimento dei voti (il più importante è l'impegno ad ottenere la buddhità);
    – pazienza: capacità di sopportare e di perdonare;
    – sforzo: capacità di gioire della virtù in tutte le situazioni, senza lasciarsi scoraggiare;
    – concentrazione: saper padroneggiare un ampio numero di stati di concentrazione profonda (samhadi);
    – saggezza: conoscenza della vacuità dell'assenza di un sé.

    La pratica del bodhisattva (secondo i sutra mahayana) consiste nel raccogliere due cumuli: cumulo dei meriti e cumulo della saggezza, rappresentati come le ali di un uccello che vola verso l'illuminazione; le sei perfezioni rientrano in queste due categorie (dare, etica e pazienza sono meriti, la saggezza è saggezza, lo sforzo e la concentrazione sono necessari per entrambi).
    Le sei virtù giungono alla perfezione solo se fondate sulla comprensione della vacuità. Nel "Sutra del diamante" il bodhisattva fa voto di condurre tutti gli esseri nel nirvana sapendo che in realtà non esiste nessun essere da condurre.
    Il sentiero richiede tre periodi di eoni incalcolabili.
    Il bodhisattva si incammina nei dieci stadi (bbumi), acquistando sempre più potere: passando dalla condizione di essere comune a quella di un bodhisattva progredito a cui gli esseri comuni si rivolgono.

    Il più famoso dei bodhisattva progredito è Avalokitevara (signore che guarda in basso, in Cina Guanyin; pag. 74).
    Il più famoso bodhisattva femminile (del buddhismo Tibetano) è Tara, nata da un loto fiorito da una lacrima versata da Avalokitevara. Ha il potere di liberare dalle otto paure (leoni, elefanti, fuoco, serpenti, banditi, carcere, acqua e demoni); spesso rappresentata come uno dei due bodhisattva femminili che accompagnano Avalokitevara, personificazione della sua compassione e Bhrkuti, della sua saggezza.


    Altri Buddha, altri mondi.

    Per preservare il dharma, Sakyamuni (saggio del clan Sakya, il Buddha della nostra epoca) chiese ad alcuni arhat (il cui numero varia da otto, sedici o diciotto) di rimanere nel mondo fino all'avvento di Maitreya, il buddha successivo.
    La figura dell'arhat diviene oggetto di devozione e folklore, rappresentati come austere figure indiane, con corpi raggrinziti ed espressioni serie.
    Uno di questi è Rahula, figlio del Buddha.
    Maitreya, attualmente è un bodhisattva, apparirà nel mondo quando l'arco della vita umana sarà nuovamente di ottantamila anni. Ripeterà le gesta di Gautama, con alcune differenze (pag. 78).

    Campo di Buddha: luogo e epoca fortunati, rendono il mondo un "campo di Buddha".

    Lo scopo di un Buddha è quello di purificare il mondo. I mondi presentano diversi livelli di purificazione: i più puri sono privi dei regni degli esseri infernali, dei fantasmi e degli animali.
    Del livello di purezza del nostro mondo viene parlato nel "Vimalakirti sutra" (pag. 79/80).

    Nei sutra vengono descritti diversi campi di Buddha, ma la Terra della beatitudine è la terra pura più famosa. Il "Sutra della terra della beatitutine" inizia con Ananda che chiede al Buddha il motivo della sua felicità, il quale risponde che stava pensando al tempo del buddha Lokevararaja e ne racconta la storia (pag. 80).
    La struttura del sutra ne fornisce la forza narrativa. Iniziato con la storia di un bodhisattva, va a terminare con una descrizione dettagliata di una terra pura presente. Tutto ciò che Dharmakara promise ora è realtà, poiché raggiunge la buddhità.

    Vi sono altri Buddha che non appariranno in questo mondo e non presiedono qualche famosa terra pura, uno di questi è molto importante nel buddhismo tantrico: Vajrasattva (eroe di diamante), la cui visualizzazione è un'importante forma di purificazione (pag.82).
    Nella tradizione il Buddha era visto come l'eroe rarissimo. Nel mahayana la buddhità diventa la meta universale. Nella meditazione di Vajrasattva, considerata una pratica preliminare, la meta diventa il sentiero.


    Le immagini del Buddha.

    Le immagini, nel buddhismo, hanno una grande importanza.
    Nei primi secoli della sua introduzione in Cina era chiamata la "religione delle immagini".
    La maggior parte delle persone era analfabeta.
    Non ci sono testimonianze di immagini sino a secoli dopo la sua morte, ma molte sono quelle la cui santità deriva dalla credenza che il Buddha abbia posato per esse. La più importante è quella realizzata per il re Udayana (sovrano dei Vatsa). Un certo numero di statue vennero identificate come la sua, in seguito, e secondo un resoconto questa venne portata in Cina nel I secolo, anche se Xuanzang (pellegrino) afferma di averla vista in India sei secoli dopo. Nel X secolo il pellegrino giapponese Chonen ne fece una copia (dalla Cina) e la portò in Giappone. Secondo una versione l'originale prese il posto durante il viaggio (tempio di Seiryouji a Kyoto). Nel 1954 venne aperto un pannello sul retro della statua in cui furono trovate viscere di stoffa, monete, cristalli e documenti relativi alla storia della statua.

    Un'immagine buddhista non è considerata finita finché non riceve una cerimonia di consacrazione altrimenti non può essere considerata un luogo in cui raccogliere meriti. Il rito fa si che il buddha abbandoni il nirvana per stabilirsi nell'immagine materiale. Diventa il Buddha stesso. I buddha possono apparire in varie forme, anche di oggetti apparentemente inanimati.
    I monasteri indiani avevano un elemento ricorrente nella costruizione (a partire dal IV/V secolo): la "camera profumata" che ospitava un'immagine del Buddha, considerata la sua vera e propria residenza.

    In Cina era usanza dei grandi monaci di conservare la posizione di meditazione anche dopo la morte. I corpi di alcuni vennero mummificati (ricoperti spesso anche con strati di lacca, trasformandole in vere statue viventi, o dorate, i lobi delle orecchie allungati e un puntino disegnato tra le sopracciglia) e collocati in luoghi d'onore del tempio, divenendo oggetto di venerazione.


    La natura dei Buddha.

    Tathagatagarbha: "tathagata" è un attributo del Buddha, "così venuto/andato"; "garbha" ha diversi significati: elemento, camera interna, involucro; si riferisce al potenziale di buddhità che dimora naturalmente ed eternamente in tutti gli esseri.
    La natura di buddha è una cosa di grande valore, celata alla vista e non riconosciuta da chi non ha gli occhi per vederla. La natura di buddha dimora silenziosamente nel corpo di tutti gli esseri, incontaminata dalle loro afflizioni. I buddha appaiono per annunciare a tutti gli esseri della presenza di questa natura. Inoltre il Buddha insegna ad usare la saggezza per annullare le afflizioni e portare alla luce la natura di buddha.

    Accuse:
    – non è una qualità universale, alcuni esseri non possiedono il seme dell'illuminazione;
    – spesso descritto in modo tale da assomigliare al sé.

    Il tathagatagarbha era però considerato un insegnamento provvisorio, quindi dato dal Buddha ad un particolare uditorio per uno scopo preciso, che non coincide con la sua posizione definitiva. È vacuità della mente di cui tutti gli esseri sono dotati.


    Il Dharma.

    Il primo dei tre gioielli è il Buddha, che indica il rifugio dalla sofferenza della nascita, della vecchiaia, della malattia e della morte.
    Questo è il Dharma, tradotto come insegnamento, dottrina o legge.
    È di due tipi: dottrina verbalizzata (le parole degli insegnamenti del Buddha) e dottrina realizzata (la realizzazione di questi mediante la pratica del sentiero).
    La dottrina verbalizzata è riportata in numerosissimi testi, in diverse lingue, poiché vennero scritti secoli dopo la morte del Buddha. Non si ha certezza della loro autorevolezza, ma lo stesso vale per i sutta in pali, considerati dal theravada come il resocondo più accurato della parola del Buddha.

    Apocrifi buddhisti è un termine che indica i testi redatti fuori dall'India, ma che sostengono la propria origine indiana. Nessuno scritto può essere considerato la parola assoluta del Buddha storico.


    La parola del Buddha.

    Il Buddha non lasciò nessun successore e niente di ciò che insegnò fu messo per iscritto durante la sua vita.
    Il primo tentativo di raccogliere i suoi insegnamenti avvenne poco dopo la sua morte da Mahakayapa, il quale nel sentire un monaco rallegrarsi della morte del Buddha così avrebbe potuto fare ciò che voleva, convocò un concilio di arhat per raccogliere le parole del Buddha.
    Il codice della disciplina monastica venne recitato da Upali, Ananda recitò gli insegnamenti che sarebbero diventati le cinque raccolte di sutra (pag.97).
    Cosa andava considerato parola del Buddha (pag.98).

    Dharma vinaya: come si dice che il Buddha chiamasse il suo insegnamento.

    Tre categorie di testi divennero note come tripitaka (i tre canestri):
    Sutra: discorsi del Buddha, organizzati in base alla lunghezza (raccolta i sutra lunghi, medi, sutra per gruppi, sutra per enumerazioni);
    Vinaya: le regole della disciplina monastica, comprese le circostanze che condossero alla loro istituzione;
    Abhidharma: elaborazioni scolastiche e l'analisi delle liste di costituenti fisici e mentali menzionati nei sutra.

    La prima testimoniaza della stesura scritta è riportata in una cronaca singalese che narra che intorno al 29-17 a.C. i monaci che ricordavano il canone lo trascrivevano temendo che potesse andar perso.
    Prima di questo periodo si ipotizza che le parole del Buddha avessero già una forma orale il cui scopo era quello di facilitarne la trasmissionea attraverso la ripetizione e la versificazione.
    Seconodo tradizione erano gli arhat incaricati di ordinare le parole del Buddha.

    Con la nascita del Mahayana ci fu una proliferazione di nuovi sutra, ognuno dei quali sosteneva di essere la parola del Buddha ed iniziava con la formula: "così ho udito". Questa frase era spesso attribuita ad Ananda o ad un bodhisattva o ad un anonimo.
    Se si trattava dei bodhisattva Manjuri o Vajrapani, implicava che i sutra erano insegnamenti segreti, destinati solo ai discepoli mahayana.
    Se si trattava di Ananda era un tentativo di incorporazione. Se il Buddha gli aveva dato il potere di svolgere quel compito ed egli si era limitato a udire senza comprendere il senso, si trattava di insegnamenti più profondi, al di sopra dei discepoli hinayana.
    Se si trattava di un anonimo, i sutra potevano essere stati uditi da chiunque fosse qualificato dalla fede.

    Il Mahayana in India sembra avere due periodo: il primo, iniziato attorno alla nostra era con la comparsa di vari culti incentrati su testi di nuova composizione (come il Sutra del loto). In alcuni sutra (come quello del loto) veniva esaltata la venerazione degli stupa, mentre altri affermavano la loro superiorità sostituendosi al corpo e alla parola di Buddha.


    L'interpretazione della parola.

    I mondi autonomi costituiti dai singoli sutra vennero suddivisi in blocchi.
    Tutti i critici buddhisti dovevano affrontare il problema dell'interpretazione dei sutra. Per poterli risolvere bisognava poter affermare di conosce le intenzioni stesse del Buddha. Inoltre molti passi sembravano contraddire quella che era la sua posizione definitiva.

    Una strategia adottata fu quella di classificare gli insegnamenti in realzione all'uditorio, organizzandoli in progressione verso il nirvana.
    In "Istruzioni sul pitaka" viene spiegato come gli insegnamenti siano stati suddivisi in relazione al significato e alla terminologia, formendo così linee guida per tornare la corenza originaria.

    Vengono introdotte liste complesse di categorie irrelate: tre classi di discepoli a cui l'insegnamento è rivolto (persona comunque, dotto, arhat); tre tipi di personalità (mossa dal desiderio, dall'odio, dall'illusione); quattro argomenti fondamentali trattati nei sutra (afflizioni, moralità, saggezza e arhat).
    Le quattro classi sono presentati in modo che i sutra sulla moralità siano superiori ai sutra sulle afflizioni, quelli sulla saggezza sono superiori ai sutra sulla moralità, quelli sugli arhat sono superiori ai sutra sulla saggezza.

    Sia i testi buddhismo principale che mahayana si fondano sui quattro affidamenti:
    – fare affidamento sul dharma e non sulla persona;
    – fare affidamento sul senso e non sulla lettera;
    – fare affidamento sul senso definitivo e non sul significato provvisorio;
    – fare affidamento sulla saggezza e non sulla coscienza ordinaria.
    Questo introduce due termini chiave: definitivo e provvisorio.
    Si riferiscono ad affermazioni precise: quelle che non si possono leggere letteralmente sono provvisorie, quelle che si possono leggere letteralmente sono definitive.
    Il Buddha può fare affermazioni provvisorie.

    I sutra che espongono la vacuità sono definitivi, mentre quelli che trattano di altri argomenti sono provvisori.

    In Cina i testi buddhisti giunsero in modo casuale, perciò vennero creati diversi sistemi di classificazione che ordinavano i sutra in base all'epoca della vita del Buddha in cui erano stati esposti e all'uditorio a cui erano rivolti.

    In Giappone fu Kuukai a tentare di classificare gli insegnamenti. Egli elencò dieci stadi di sviluppo spirituale, dall'individuo animato dagli interessi più basilari (da lui chiamato "il tipo capra") per passare agli individui che traevano maggior beneficio dagli insegnamenti confuciani o taoisti. Passando al buddhismo poneva prima quelli in grado di beneficiare degli insegnamenti dei ravaja. Al Mahayana elenca le caratteristiche degli individui in grado di beneficiare degli insegnamenti degki yogocara, dei madhyamaka, del Sutra del loto e del Sutra della ghirlanda di fiori.
    I discepoli più avanzati erano quelli degni degli insegnamenti della nuova scuola, lo Shingon (vera parola).

    Il buddhismo è noto per la dottrina dell'impermanenza che spiega come tutte le cose condizionate sono prodotte, perdurano, invecchiano e infine si disgregano.
    Questo teneva occupati i monaci-studiosi dell'abhudharma, nelle sucole dei sarvastivada e sautrantika. I primi sostenevano che produzione, durata, invecchiamento e disgregazione, sono condizioni intrinseche a tutte le cose impermanenti e fanno si che le cose siano prodotte, pedurino, invecchino e si disgreghino.
    Non si poteva trovare nessuna affermazione del Buddha a favore dell'esistenza autonoma delle quattro caratteristiche.


    Quanti veicoli per l'illuminazione?

    I sutra mahayana affermavano che il sentiero del bodhisattva è aperto a tutti coloro che sviluppano l'aspirazione alla buddhità, quindi non ad un solo individuo per epoca.
    L'ordine dell'arhat veniva presentato come l'ottenimento di un ordine minore.
    Alcuni sutra parlano di tre veicoli:
    – veicolo dello ravaka;
    – veicolo del pratyekabuddha;
    – veicolo del bodhisattva.
    Profezia nel "Sutra dello svelamento delle intenzioni" (pag 106).

    Altri affermano l'esistenza di un solo veicolo, quello del bodhisattva.
    Profezia nel "Sutra del loto" (pag. 104).


    Il potere della parola.

    L'interpretazione o il tentativo di dare un senso alle affermazioni contradditorie fu una costante preoccupazione dei monaci-studiosi.

    Potere del suono.
    Le parole del sutra o dei tantra avevano un potere che veniva liberato leggendole ad alta voce e la recitazione era una pratica efficace in tutto il mondo buddhista.
    Nello Sri Lanka, i sutra o i pirit (parti di sutra) vengono recitati dai monaci per allontanare i pericoli.

    Dharani: lunghi mantra ritenuti contenere l'essenza del sutra, a cui venivano attribuiti grandi poteri. La loro recitazione era equiparabile all'apprendimento a memoria del sutra. Erano consiederati come delle formule magiche.
    Si dice che il bodhisattva Vajrapani sottomise tutte le divinità dell'universo con il mantra hum, inducendole a prendere rifugio nel Buddha. Hanno quindi potere anche sugli dei e sulla legge del karma (neutralizzandolo). Si dice che un criminale condannato a morte portava un braccialetto con le parole del mantra di una dea e lo cantà mentre stava per venire decapitato, sfuggendo alla moste più di una volta.

    I sutra della perfezione della saggezza hanno la caratteristica di mettere in evidenza la vacuità delle cose, accomunando la visione della vacuità con la saggezza data dalla buddhità. Si supponeva quindi che, essendo efficace contro qualcosa di tanto "forte" lo fosse anche contro avversari inferiori. Il "Sutra del cuore" è uno dei più efficaci (ritenuto l'essenza di tutti gli altri): la scrittura stessa del suo titolo garantisce protezione, non c'è neanche bisogno di recitarlo.

    La descrizione dei benefici derivati dalla riproduzione dei sutra è una caratteristica di quelli mahayana.
    Il "Sutra del loto" afferma che chiunque lo copi (anche senza leggerlo o recitarlo) rinascerà come divinità nel Cielo dei trentatré. Inoltre raccomanda cinque pratiche a chi diffonde il dharma: ricevere e conservare il sutra, leggerlo, recitarlo, copiarlo e spiegarlo ad altri.
    La recitazione a memoria era ritenuta una pratica molto potente.


    La vita monastica.

    Il sangha ha un ruolo centrale nella pratica del buddhismo.
    Senza monaci non può esserci buddhismo. Si dice infatti che quando scomparirà il dharma, i codici monastici saranno quelli che perdureranno di più, e allora le vesti color zafferano diventeranno bianche, come quelle dei laici.

    Le proprietà tradizionali dei monaci erano:
    – tre abiti;
    – una ciotola per le elemosine;
    – una cintola;
    – un rasoio per radersi il capo;
    – un ago per cucire;
    – un filtro per l'acqua per prevenire l'ingestione involontari di insetti;
    – un bastone per camminare;
    – un bastoncino per la pulizia dei denti.

    Erano consentiti:
    – sandali;
    – un cuscino;
    – un ombrello;
    – un ventaglio.

    Inizialmente i monaci erano dei pellegrini che si spostavano di stagione in stagione, ma si consolidò l'usanza di stabilirsi in un luogo durante la stagione delle piogge. Venivano costruiti per loro dei ripari che ben presto divennero dei monasteri abitati tutto l'anno.
    Che fossero itineranti o meno, due volte al mese (alla luna piena e alla luna nuova) si riunivano per la confessione e la recita in comune dei voti.

    La sedentarietà portò ad un mutamento delle attività tradizionalmente associate ai monaci che divennero pratiche ascetiche.
    – indossare abiti fatti di stoffe gettate e non donate;
    – possedere solo tre abiti;
    – nutrirsi solo di cibo elemosinato;
    – mendicare il cibo a tutte le case;
    – mangiare solo la quantità di cibo che si può contenere la ciotola;
    – rifiutare altro cibo;
    – dimorare nella foresta;
    – dimorare ai piedi di un albero;
    – dimorare all'aria aperta, usando al massimo un riparo fatto con gli abiti;
    – dimorare in un campo di cremazione;
    – dormire in qualunque letto venga offerto;
    – non distendersi mai completamente.

    Il sangha non era una comunità omogenea, i monaci venivano da diverse realtà sociali, c'erano monaci con delle abilità particolari quali la memorizzazione o nel tenere discorsi, monaci con differenti abilità ecc.

    L'abito è il segno di riconoscimento primo del monaco. Ed ogni tradizione varia le caratteristiche e la simbologia del proprio abigliamento, legittimandole come dettate direttamente dal Buddha.
    In Tibet i monaci indossano, sotto l'abito esterno, una maglia che simboleggia la bocca spalancata del signore della morte, calzano stivali.
    I laici devono considerare l'abito monastico come fosse uno stupa, indipendentemente da chi lo indossa e la sua purezza. Allo stesso tempo ci sono ammonimenti per non disonorarlo (pag.116).

    Nel sangha nascevano anche delle dispute.
    Nei monasteri sembra esistessero rigorose linee di proprietà: alcuni beni erano di proprietà dello stupa, altri di tutto il sangha, altri ancora dei singoli monaci. Era importante rispettare queste divisioni.

    La morte di un monaco ordinario, in Cina, veniva notificata alle autorità assieme alla richiesta del permesso di celebrare il funerale. Il cadavere veniva lavato ed il cranio rasato. Veniva vestito con abiti puliti, messo a sedere nella posizione di meditazione e chiuso in un feretro rotondo. Questo veniva poi esposto nell'infermeria del monastero, adorno di fiori e striscioni, I monaci si riunivano davanti al feretro per cantare il nome di Amitabha e recitare i voti.
    Una processione lo trasportava poi fino al luogo in cui sarebbe stato cremato. Ne venivano raccolte le ceneri e poi gettate nel fiume o conservate in una pagoda di pietra.

    I monaci mangiavano carne, poiché avevano l'ingiunzione di mangiare tutto ciò che gli veniva offerto.
    In India la proibizione di carne si trova in alcuni sutra mahayana ("Mahanirvana sutra", che si crede contenga le istruzioni finali del Buddha). Considerata definitiva in Cina, dove i monaci si astenevano dalla carne e dai "cinque sapori forti": porri, aglio, cipolle zenzero e scalogno.
    Si sviluppò una cucina vegetariana ricca di piatti che riproducevano persino il sapore della carne.
    Questa tradizione passò anche in Giappone, dove i monasteri divennero luoghi alla moda per nobili che si ritiravano dalla scena.

    La differenza tra monaci e laici si basa sulla divisione del lavoro.
    Il ruolo del monaco è quello di mantenere una certa purezza che lo rende un degno "campo di meriti" a cui i laici possono fare offerte accumulando così karma favorevole. Concezione ancora presente in Giappone, come nei monasteri di addestramento della scuola zen Soutou.
    In cambio i monaci ricevono i frutti del lavoro dei laici sotto forma di sostegno materiale.
    Quindi i monaci fanno ciò che i laici non possono fare, e i laici fanno ciò che ai monaci è proibito.
    I monaci hanno obblighi sociali e rituali, partecipando ad una vasta gamma di riti domestici.
    Vengono consultati dai laici per qualunque affare personale.
    Le maggiori interazioni tra monaci e laici avvengono durante le festività (come l'annuale celebrazione della nascita del Buddha nei monasteri coreani; pag.120).

    Le persone entravano nell'ordine per disparate motivazioni.
    In Cina era usanza credere che quando una persona diventava monaco, per nove generazioni i suoi antenati salivano al cielo.


    Le regole della disciplina.

    Secondo la tradizione, nei primi anni non esistevano regole per i monaci perché nei primi anni dell'insegnamento del Buddha tutti gli i membri del sangha erano destinati al nirvana e perciò il loro comportamento era già corretto.
    Le regole si sarebbero intensificate quando il dharma avrebbe iniziato a sparire.
    Le regole non furono enunciate da Buddha in toto, ma pian piano nel corso del tempo, in base alle situazioni che si venivano a creare. Perciò ogni regola e accompagnata da una storia che la riguarda (pag.122).

    Al momento dell'ordinazione i novizi prendono cinque voti:
    – non uccidere nessun essere vivente;
    – non rubare;
    – non tenere una scorretta condotta sessuale;
    – non mentire circa i propri ottenimenti spirituali;
    – non fare uso di intossicanti.
    Altri voti:
    – non prendere cibo dopo il pasto di mezzogiorno (largamente trasgredita attraverso il "cibo medicinale");
    – non maneggiare oro e argento;
    – non adornare il corpo;
    – non dormire in alti letti;
    – non assistere a spettacoli musicali.
    Alla piena ordinazione i monaci prendono altri voti per un totale di circa 250 voti a seconda della tradizione.
    I voti erano raggruppati a seconda della gravità della loro infrazione:
    – quattro infrazioni (omicidio, rapporto sessuale, furto e menzogna sui propri ottenimenti spirituali) comportavano l'espulsione;
    – infrazioni minori venivano espiate attraverso espulsione temporanea, perdita temporanea di alcuni diritti, penitenza, ammenda, periodo disorveglianza, confessione, ammissione ad un altro membro del sangha.
    – Comportavano confessione: consumare alcol; scavare la terra; rimanere per pià di di due/tre notti in compagnia di uomini armati; comunicare ad un laico gli ottenimenti spirituali raggiunti.


    L'ordinazione.

    Mentre il Buddha era in vita, per diventare monaco bastava semplicemente rispondere al suo invito: "vieni monaco". La cerimonia formale di ordinazione si sviluppò dopo la sua morte e prevedeva due tappe:
    – l'uscita da casa, noviziato: il bambino doveva avere circa otto anni (l'età per mettere in fuga un cervo), gli veniva assegnato un precettore con cui avrebbe vissuto e un insegnante, gli veniva rasato il capo ed indossava l'abito monastico, si prostrava davanti al precettore dicendo per tre volte di prendere rifugio in Buddha, nel dharma e ne sangha e veniva istruito sui dieci voti dei novizi;
    – piena ordinazione monastica: era una cerimonia formale che avveniva dopo il compimento dei vent'anni se il ragazzo non presentava determinati difetti fisici, richiedeva la presenza di dieci monaci, gli veniva chiesto se era un uomo libero, un essere umano, un maschio ed un'altra serie di domande, dopo di queste il novizio chiedeva formalmente l'ordinazione tre volte.
    Veniva considerato un impegno per tutta la vita, anche se si tornava alla vita laica.


    I voti del bodhisattva.

    I voti del bodhisattva erano un'altra serie di voti presi dai monaci mahayana.
    L'ordinazione monastica non era richiesta per quella da bodhisattva. In India, Cina e Tibet erano considerati un'aggiunta ai voti monastici; in Giappone li sostituirono.
    Il più importante tra questi voti è l'impegno ad ottenere la buddhità per il bene di tutti gli esseri dell'universo.

    In una versione indiana il bodhisattva fa diciotto promesse:
    – non elogiare se stessi e diffamare gli altri per attaccamento al profitto o alla fama;
    – non mancare di donare, per avarizia, le proprie ricchezze o la dottrina a coloro che soffrono privi di protezione;
    – non adirarsi e non condannare gli altri senza accettarne le scuse;
    – non abbandonare il Mahayana insegnando un facsimile della dottrina eccellente;
    – non rubare i beni appartenendi ai tre gioielli;
    – non abbandonare la dottrina eccellente;
    – non rubare le vesti zafferano e non battere, imprigionare o espellere un monaco dalla vita del ninunviante anche se ha infranto il codice etico;
    – non commettere le cinque azioni che producono una pena immediata;
    – non alimentare errate visioni;
    – non distruggere città;
    – non parlare della vacuità con chi non ha la mente addestrata;
    – non allontanare nessuno dalla buddhità e dalla perfetta illuminazione;
    – non indurre nessuno ad abbandonare totalmente i voti monastici per praticare il Mahayana;
    – non ritenere che il desiderio non possa venire abbandonato mediante il veicolo degli ravaka, e non indurre altri a crederlo;
    – non dichiarare falsamente"ho accettato la profonda vacuità";
    – non imporre ammende ai rinuncianti, e non privare i tre gioielli di donatori e doni;
    – non infurre i meditanti ad abbandonare la pratica della tranqullità e non attingere ai beni di persone in ritiro per farne fono a coloro che recitano i testi;
    – non abbandonare il bodhiscitta che è risolto al risveglio e il bodhicitta che procede verso il risveglio.
    Alcuni sono già comprsi nei voti monastici, sottolinenado la compatibilità tra le due pratiche.
    In Cina i voti del bodhisattva derivano dal "Sutra della rete di Brahma", composto da 10 voti principali e 48 secondari.

    La differenza tra gli impegni di un monaco e quelli di un bodhisattva è illustrata da alcune violazione secondarie ai voti del bodhisattva, come: la violazione dovuta al non essere disposti a commettere una delle azioni non virtuose del corpo e della parola per compassione verso gli altri.


    La vita monastica.

    La residenza principale del monaco era il monastero.
    Seppur ci siano grandi monasteri, si attesta che fossero quelli piccoli a prevalere. A volte (soprattutto in India) erano di proprietà dei laici, i quali li donavano ai monaci mantenendo alcuni diritti su di essi.
    La vita monastica aveva delle regole rigide e i monaci avevano una loro amministrazione, con impiegati di vario grado (che andavano dal prefetto dei bagni al supervisore delle acque).
    Le cerimonie erano numerose durante l'anno, andavano eseguite nel modo corretto, per questo i monaci seguivano un'etichetta complessa fondatà sull'anzianità (periodo trascorso come monaco).
    Gran parte delle attività in un grande monastero (in Cina) si tenevano nella sala del sangha, un'ampia sala rettangolare che, sulla parete di fondo, riportava un'immagine del bodhisattva della saggezza Manjuri. Lo spazio era occupato quasi tutto da basse piattaforme che accoglievano un numero preciso di monaci (la grandezza era variabile). In questi spazzi i monaci meditavano, mangiavano e si stendevano per dormire.
    C'erano molte regole, alcune definivano persino il modo in cui bisognava alzarsi la mattina.
    I monaci dovevano comportarsi con dignità e discrezione in ogni situazione, rispetto sempre all'anzianità e seguendo precisi criteri di decoro.

    Il modo in cui si meditava variava per epoca ed era geografica.
    Alcuni regolamenti criticavano degli specifiche categorie di meditanti.
    Nei piccoli monasteri non c'era un programma che regolava la meditazione e la recitazione, mentre in quelli più grandi era usanza suddividere la giornata in sedute di meditazione.
    Non tutti i monaci vi si applicavano totalmente.

    Il modo di mantenersi anche variava da epoca ad area geografica. Alcuni ricevevano aiuti dallo stato, altri si mantenevano con le offerte.
    In Tibet e in Cina erano spesso proprietari di grandi terreni che veninvano poi affidati a mezzadri per lavorare la terra. In India era regolato anche il prestito di beni del monastero, con interessi.

    Alcuni monasteri fungevano da centri di cultura.
    Nelle società con un alto numero di analfabeti, ricoprivano il ruolo di istituzioni educative.
    Spesso i monaci seguivano un programma di studi che poteva richiedere vent'anni per essere portato a termine, incentrato sullo studio di cinque trattati ("cinque testi"; pag.134):
    – il primo "Ornamento della realizzazione", l'apprendimento andava dai quattro ai sei anni;
    – il secondo "Introduzione alla via di mezzo";
    – il terzo "Commento ai mezzi di conoscenza validi";
    – il quarto "Testo alla conoscenza", studiato per quattro anni;
    – il quinto "Discorso sul vinaya", studiato per quattro anni.
    Il completamento degli studi durava una ventina d'anni.
    Gli strumenti didattici erano: memorizzazione e dibattito.
    Il dibattito avveniva in forma strutturata: un monaco difendeva una posizione che veniva attaccata da un altro monaco.

    Thudong: monaci che continuarono ad essere itineranti, rifiutando l'esame di stato per entrare nel sangha, vivendo nelle foreste ed elemosinando nei villaggi. Questi seguivano le tredici pratiche ascetiche, convinti che fosse più efficace dello studio perché più simile a quella seguita al tempo di Buddha. Tradizione ormai quasi del tutto spenta.


    Le monache.

    La figura della donna nel buddhismo è sempre stata connotata dall'impurità.
    Ne abbiamo la prova con la nascita del Buddha storico, che esce fuori dal fianco della madre e mentre le era in grembo non si trovava nell'utero, ma in un padiglione ingioiellato contenente un trono di lapislazzuli. Nacque inoltre perfettamente immacolato e già in grado di camminare e parlare. Sette giorni dopo il parto la madre morì poiché il ventre che aveva portato un bodhisattva non poteva essere contaminato.

    Uno dei testi più importanti riguardo le donne parla di Mahaprajapati, matrigna e zia del Buddha, che gli chiese di permettere anche alle donne di entrare nell'ordine. Richiesta che fu respinta dal Buddha. Le donne così si rasarono, indossarono la veste monastica e si misero a seguire il Buddha e i monaci nei loro spostamenti. Molte erano le mogli dei monaci.
    Il Buddha acconsentì dopo che fu Ananda a domandarglielo, ma solamente stabilendo otto regole specifiche per le donne che andavano a sottolinearne l'inferiorità rispetto ai monaci:
    – una monaca deve sempre alzarsi davanti a un monaco, anche se più anziana;
    – una monaca non può trascorrere il ritiro delle piogge in un luogo in cui non vi siano monaci;
    – le monache devono richiedere gli insegnamenti del dharma ai monaci e il momento giusto per tenere la quindicinale confessione pubblica;
    – le monache confessano le infrazioni sia all'ordine delle monache che a quello dei monaci;
    – le punizioni verranno impartite sia dall'ordine dei monaci che da quello delle monache;
    – il noviziato deve durare più di due anni prima che le monache possano chiedere l'ordinazione all'ordine dei monaci o delle monache;
    – una monaca non deve mai oltraggiare un monaco;
    – un monaco può riprendere una monaca, ma una monaca non può riprendere un monaco.

    Il Buddha predisse che con l'integrazione delle donne nell'ordine, la durata del suo insegnamento verrà ridotta a cinquecento anni.

    Sicuramente la vicenda mette in difficoltà chi vuole escludere la natura maschilista del Buddha, giustificandolo dicendo che l'episodio venne trasmesso dai monaci dopo la morte del Buddha e quindi può non corrispondere alla realtà. Spesso le azioni commesse dal Buddha che non voglio essere attribuite a lui, si considerano come operato dei monaci. Il Buddha viene quasi sempre considerato come il precursore di tutto ciò che avviene di buono e vero. Perciò tutto ciò che ci è pervenuta fu messa per iscritto dai monaci e la parola reale del Buddha rimane inaccessibile.

    Le discepole laiche del Buddha sono spesso donne di grande ricchezza che donano generosamente e ai suoi discepoli beni di prima necessità. A loro, Buddha, spiega il modo in cui potranno rinascere come divinità, ma rimane comunque sciettico sulla possibilità di trovare felicità nella vita familiare.

    Le donne vengono considerate come pericolose e contaminatorie.
    "Sutra della mestruazione", offre salvezza alle donne, da un particolare inferno in cui sono incatenate in un lago di sangue, condanna dovuta al sangue versato durante il parto che ha contaminato la terra. Quando hanno lavato le vesti nel fiume hanno contaminato l'acqua usata poi per preparare il tè dei monaci.

    Il buddhismo non ha mai migliorato la condizione delle donne in un'area geografica in cui era presente, anche se i monasteri hanno spesso offerto rifugio.
    L'ordine delle monache si estinse in Sri Lanka verso la fine del X secolo.
    Ogni volta che il sangha femminile si indeboliva veniva messo a repentaglio a causa delle severe regole che vigevano sulle monache.
    Oggi l'ordine più numeroso si trova a Taiwan.


    La pratica laica.

    È buddhista chi pronuncia tre volte: "prendo rifugio nel Buddha; prendo rifugio nel dharma; prendo rifugio nel sangha".
    I laici possono prendere i cinque voti (per tutta la vita):
    – non uccidere esseri umani;
    – non rubare;
    – non seguire una scorretta condotta sessuale;
    – non assumere intossicanti;
    – non mentire circa i propri ottenimenti spirituali.
    È possibile prendere uno solo di questi o una qualunque combinazione, individualmente o in grandi cerimonie pubbliche.
    Lo scopo è quello di frenare le azioni non virtuose, accumulando meriti.
    Secondo la teoria il voto asumme una forma fisica sottile all'interno del corpo di chi lo ha preso e vi rimane sino alla morte, a meno che non venga infranto. Mantenerlo fa accumulare meriti, perciò è considerato più virtuoso prendere il voto e mantenerlo, piuttosto che astenersi dal fare quella determinata cosa (ad esempio prendere il voto di non rubare e non farlo, piuttosto che non farlo senza aver preso il voto).
    È considerato efficace anche prendere un voto per un limitato periodo di tempo.

    L'atto principale del laico è la carità rivolta al sangha (oggetto puro), che ha il potere di trasformare i beni materiali in felicità futura.

    La pratica laica ritiene che i laici non possano, nell'epoca attuale, percorrere sino alla fine il sentiero dell'illuminazione, perché non hanno avuto la fortuna di beneficiare direttamente dell'insegnamento del Buddha. Ha quindi come scopo ultimo la rinascita come essere umano al tempo di Maitreya, così da poter completare il cammino verso il nirvana.

    La morte e i riti funebri sono momenti centrali del pensiero e della pratica buddhista, tanto per i monaci quanto per i laici.
    Ciò proviene in parte dalla dottrina della rinascita e la morte viene considerata quindi sia una fine che un inizio.
    La vita umana è considerata una rara e preziosa occasione se in condizione di poter avere accesso agli insegnamenti buddhisti. Gli dei sono intossicati dai piaceri e non cercano la liberazione; gli animali, i fantasmi e gli esseri infernali sono così carichi di sofferenza da non riuscire a seguire il sentiero; gli esseri umani che nascono in zone o in epoche in cui il buddhismo è sconosciuto, non hanno la possibilità di udire il dharma.
    La morte è inevitabile e i testi buddhisti mettono continuamente sull'avviso a proposito di questo.
    Le celebrazioni dei riti funebri sono una delle principali funzioni dei monaci.
    Le funzioni svolte in Cina sono segnate da fatto che, durante la dinastia Ming, il governo tentò di portare il clero buddhista sotto il controllo del Ministero dei Riti. Il rito più famoso è la desta dei fantasmi (il settimo mese lunare), basato sullo "Ullambana sutra" in cui Maudgalyayana" percorre i regni della rinascita alla ricerca della madre defunta (pag. 148).
    Per liberare i defunti dal loro destino infernale l'univa cosa efficace è fare offerte alla comunità monastica a favore dei familiari deceduti.

    Dharani: una sorta di formula magica.
    Il Buddha la raccomandò a chiunque desideri una lunga vita, meriti e prosperità.
    Occorre mettere una piccola quantità d'acqua e di riso in una ciotola, recitare sette volte la formula, recitare il mantra del nome di quattro buddha, schioccare sette volte le dita e versare l'acqua e il riso al terra. Così l'offerente sarà al riparo dai demoni e otterrà meriti incalcolabili e lunga vita.
    Recitandola quattordici volte e gettando il contenuto della ciotola in un fiume, si nutriranno innumerevoli brahmini. Chiunque assista rinascerà come il grande dio Brhama. Per fare le stesse offerte ai tre gioielli, i monaci dovranno semplicemente recitare la formula ventuno volte.

    Si crede cge la popolarità dei riti funebri buddhisti derivasse dal loro incrociarsi nella motivazione con le tradizionali offerte agli antenati.

    In Giappone una delle principali funzioni del buddhismo fu occuparsi della morte. La parola "hotoke" designa tanto un buddha quanto un defunto. I mortierano suddivisi in:
    – defunti prossimi: familiari morti da meno di trentatrè anni, che mantenevano un'identità individuale nella memoria;
    – defunti remoti: familiari morti nella categoria degli antenati.
    I defunti privi di familiari a celebrare per loro i riti venivano inseriti in una terza categoria: defunti privi di parentela.
    Le cerimonie per i familiari morti venivano celebrate il quarantanovesimo giorno dalla morte e poi il primo, il terzo, settimo, tradicesimo e trentatreesimo anniversario della morte. Dopo il defunto riceveva le offerte durante l'annula efesta di Obon (tarda estate).
    Lo scopo era trasformare i familiari defunti in antenati benevoli che proteggevano i vivi e placavano gli spiriti dei defunti privi di parentela.

    Con il tempo si svilupparono riti a favore dei feti morti, stabilendo un luogo per le offerte e la loro commemorazione. Questi luoghi sono riconoscibili dalle immagini in pietra del bodhisattva dei Jizou, protettore dei bambini.


    Il Sangha e lo Stato.

    Nel corso della storia furono diversi i re buddhisti.
    Il più famoso fu Aoka, che salì al trono nel 270 a.C. in India. Rinunciò alla violenza per abbracciare ill dharma, inaugurando quarant'anni di pace e prosperità. Lasciò traccia di se, grazie alle iscrizioni che fece incidere su pilastri di pietra e su cui presentò una poilitica di governo fondata sul dharma (pag.154/155).

    Cakravartin: il re che fa girare la ruota. Un cakravarti con una ruota d'oro governa i quattro continenti del mondo, uno con una ruota d'argento ne coverna tre, uno con una ruota di rame ne governa due, uno con una ruota di ferro ne governa solo uno (il Jambudvipa). Hanno bisogno di altri strumenti per assicurarsi il dominio su quest'ultimo continente (ad esempio quello con la ruota di ferro ha una spada, che sembra corrispondere al cackravartin in armi di cui si parla nella leggenda di Aoka, il quale ottenne il dominio sulla terra offrendo al Buddha una ciotola piena di terra ovvero di buone intenzioni). Tutti i re e gli autocrati venivano chiamati (o ci si facevano chiamare) in tale modo.

    In molti Paesi l'introduzione del buddhismo era associata alla figura di un pio principe.
    In Giappone, il principe Shoutoku (547-622) è considerato il creatore dello Stato giapponese e il primo patrono del buddhismo. Il dharma gli era stato raccomandato dal re coreano di Paekche. Mise in pratica il dharma a sostegno del suo governo e della nazione.
    Nello Sri Lanka il principe Dutthagamani fu un diffusore del dharma, riunendo i sei regni minori dell'isola riunificandoli in un unico regno buddhista nel II sec. a.C. (pag.156).

    A volte la resistenza all'introduzione del buddhismo non veniva solo da fazioni rivali, ma dalla terra stessa, come per il Tibet che si credeva fosse una demonessa che si opponeva alla sua introduzione (pag.157).
    Immagini e reliquie del Buddha hanno un ruolo importante nella storia delle dinastie regnanti, fungendo da segni di diritto e legittimità (pag.157).

    In gran parte dell'Asia i monaci venivano mantenuti dallo Stato per la loro capacità di predire il futuro, di far cadera la pioggia e di legittimare un sovrano scoprendone l'associazione con il Buddha nelle sue vite precedenti.
    Si sviluppò un rapporto di simbiosi tra il potere imperiale e il sangha, tra la legge dello Stato e la legge buddhista. Il governatore doveva proteggere e sostenere il sangha; il sangha doveva mantenere la rettitudine morale, creando meriti per sostenere lo Stato e insegnare al popolo a comportarsi in modo virtuoso.
    Questo serviva a garantire il benessere dell Stato e dei suoi sudditi in questa vita e nelle seguenti.
    Il Buddhismo non viene identificato con una nazione particolare, ma considerato un potere che può essere utile allo Stato.
    I rapporti tra Sangha e Stato hanno portato anche a conflitti sulle reciproche sfere di potere. Il monaco cinese Hui-yuan rifiutò di inchinarsi all'imperatore sostenendo che i monaci buddhisti, avendo rinunciato al mondo, non erano obbligati a rispettarne le usanze.

    Una delle più drastiche riforme monastiche avvenne in Giappone nel 1872, quando il governo Meiji tolse qualunque status speciale ai monaci, che da quel momento dovettero iscriversi all'anagrafe, sottoporsi all'educazione scolare, al pagamento delle tasse e al servizion militare. La cosa portò scompiglio e timore credendo che l'abolizione di certe leggi avrebbe cancellato la distinzione tra monaci e laici. Perciò cui venne restituiva alle scuole la libertà di regolare alcuni "divieti" (come il matrimonio e il mangiare carne).

    Il re della Thailandia Mangkut (1806-68) venne ordinato a vent'anni e visse da monaco per ventisette, per proteggersi dagli attentati alla sua vita mossi dal fratello maggiore, per poi tornare alla vita laica salendo al trono. Fondò una nuova scuola (Thammayut) e promosse numerosi cambiamenti (come il modo di indossare l'abito).

    A volte il capo dello stato veniva identificato come un bodhisattva.
    In Tibet il V Dalai Lama, un monaco, salì al trono nel 1642. Egli consolidò il proprio potere affermando di essere l'attuale incarnazione del bodhisattva Avalokitevara, in questo modo diventava la manifestazione umana del bodhisattva cosmico della compassione e allo stesso tempo un monaco ed un re, unificando sangha e stato in un'unica persona.


    Il ruolo del libro.

    La maggioranza dei busshisti era analfabeta, perciò i testi non potevano essere solamente qualcosa da leggere.
    I sutra venivano collocati sugli altari e venerati. I monaci li recitavano per i laici, che li pagavano in offerte accumulando così meriti. Indipendentemente dal fatto che e venisse compreso il contenuto, bastava che la parola del Buddha fosse udita per dare i suoi frutti.
    I sutra venivano anche copiati, compiendo la moltiplicazione di un oggetto sacro, che portava meriti.
    Veniva praticata la lettura simultanea ad alta voce, creando una cacofonia di dharma.

    Il "Sutra del cuore" è considerato il più famoso perché contiene una concisa presentazione della perfezione della saggezza, la conoscenza attraverso la quale si ottiene la buddhità. È breve e potente allo stesso tempo. Usato soprattutto in riti per tenere lontani i demoni.
    I riti in cui Buddha e il suo dharma vengono evocati per allontanare i mali provocati dagli spiriti maligni, si trovano ripetuti in migliaia di forme nel mondo buddhista. I monaci in grado di leggere e recitare sutra e mantra fungevano quindi da protezione per i laici (pag.162).


    Il Karma.

    È la preoccupazione principale dei buddhisti.
    In genere l'intendo era quello di rovesciare il karma negativo del passato per accumularne di positivo nel presente.
    La legge del karma dice che: le cattive azioni del passato producono obbligatoriamente sofferenza presente e futura, a meno che non si ottenga la comprensione del non sé.

    I poteri del "Sutra del loto" erano considerati tanto grandi che il solo titolo era dotato di poteri miracolosi (pag.165).

    Stimolo-reazione: con la recitazione del sutra la persona crea una specie di risonanza che attira l'attenzione della divinità e la costringe a rispondere.

    La teoria classica del karma considerava tutte le azioni volontarie come produttrici di karma, imprigionando così la persona sempre più nel samsara. La rinascita era la causa di una qualunque azione compiuta in una vita passata. Altre molteplici fattori (come lo stato mentale al momento della morte) stabilivano quale azione avrebbe prodotto la vita successiva.
    La maggior parte delle culture buddhiste invece preferisce dare perso alla totalità delle azioni compiute nelle vite precedenti.

    Nel "Sutra dei dieci re" viene illustrato il destino del defunto nel mondo intermedio tra morte e rinascita (pag.166).

    Particolare importanza avevano i meriti e i demeriti legati alle azioni (pag.167).


    Il pellegrinaggio.

    Il pellegrinaggio verso luoghi in cui sono (sarebbero state) conservate le reliquie, è una pratica che il Buddha stesso consigliò. Così come disse che l'offerta di fiori, incenso o immagini ad uno dei suoi stupa avrebbe goduto dei meriti di una buona azione, e chi si fosse rallegrato alla vista di uno stupa o che fosse morto in pellegrinaggio sarebbe rinato nei cieli.
    I pellegrini partivano da ogni regione dell'Asia, verso l'India, soprattutto per visitare Bodhgaya (il luogo dell'illuminazione).
    Questa viene considerata una tecnica potentissima per la buddhificazione di una regione geografica, poiché luoghi già importanti per la spiritualità locale venivano trasformati in luoghi buddhisti.
    Fungeva inoltre da canale di scambio sia per la religione che per il commercio.

    In Tibet le mete sono spesso dimore di divinità chiamate "protettori": antichi spiriti maligni che terrorizzavano la terra del Tibet. Perché potesse prendere piede il Buddhismo, nel VII questi spiriti dovettero essere sconfitti con la magia da maetri indiani, accettando di sottomettersi alla nuova fede e di proteggere il buddhismo. Sono guardiani ancestrali di un clan, una valle, una montagna, un monastero. Sono divinità quasi personali (angeli custodi).
    In Tibet le più importanti montagne mete di pellegrinaggi sono situate lungo il confine del regno, delimitandolo come terra buddhista. Questi spazi sacri (dimoara dei protettori) si pensava fossero stati scoperti o aperti da un grande Lama del passato, che utilizzava i suoi poteri per strappare il controllo di quel luogo algli spiriti, individuando un mandala nella montagna e la sede della divinità nella vetta.
    Pratica molto diffusa era la circumambulazione con il corpo, compiendo prostrazioni "complete": inchinandosi e sdraiandosi a terra a ripetizione per centinaia di chilometri.

    In Thailandia la pratica del pellegrinaggio è associata all'anno di nascita dell'individuo, cioè è considerato propizio recarsi in pellegrinaggio al luogo sacro che tra i dodici è ricollegato al proprio anno di nascita (segno dello zodiaco cinese).

    Una delle più famose via di pellegrinaggio del Giappone è la strada, divisa in ottantotto tappe, che compie il giro completo dell'isola di Shikoku. Questo pellegrinaggio è associato al grande maestro shingono, Kukai. Si crede infatti che lui sia ancora presente nel mondo poiché egli entrò solamente in samadhi, in attesa dell'avvento di Maitreya. Il suo funerale non si svolse mai e anche dopo la morte continuava a sembrare vivo e i suoi capelli e la sua barba continuavano a crescere.
    Si dice che Kukai accompagni ciascun pellegrino lungo la strada, spesso assumendo proprio l'aspetto di un pellegrino, premiando chi gli dimostra generosità e punendo chi invece non lo fa.


    L'illuminazione.

    La natura dell'illuminazione ed i mezzi per raggiungerla sono stati ampiamente dibattuti nei testi buddhisti.
    C'è chi afferma che può avvenire all'improvviso, indotta in modo semplice; chi espone un processo graduale di perfezionamento, che attraversa dieci stadi e va avanti per milioni di vite; chi afferma che tutti gli esseri sono già illuminati e devono solo prenderne coscienza.
    Furono diversi gli esseri che ottennero vari stati di illuminazione semplicemente ascoltando un discorso del Buddha: i primi discepoli del Buddha divennero arhat dopo aver ascoltato il suo secondo discorso, e lo divennero anche i suoi primi settanta discepoli. Sariputra lo divenne stando in piedi dietro il Buddha e rinfrescandolo con il ventaglio mentre teneva un discorso. Ananda lo divenne dopo la morte del Buddha mentre si stendeva per dormire, un attimo prima che la testa toccasse il cuscino.
    Varie sono le tecniche per ottenere l'illuminazione. Alcuni ritengono essenziale l'analisi intellettuale dei costituenti della mente e del corpo; per altri la repressione del desiderio è indispensabilie; per altri il desidero da accesso ai profondi stati di coscienza indispensabili al sentiero.

    Raramente l'illuminazione viene descritta come uno stato che si autoconvalida.
    I più grandi discepoli del Buddha non sapevano di essere dieventati arhat finché non gli fu detto.

    Nelle scuole del buddhismo principale, la prova risolutiva è quella di non rinascere più. Tuttavia in molti preferiscono rinascere in attesa dell'avvento di Maitreya.

    Molti testi indiani affermano che un certo livello di concentrazione è indispensabile perché la conoscenza del nirvana sia così potente da distruggere tutti i semi della futura rinascita e portare alla salvezza.
    Samadhi: stato di concentrazione. Il requisito per la comprensione della realtà.
    Porta benefici prima dell'entrata definitiva nel nirvana, come poteri sovrannaturali. Per ottenere tali poteri la mente deve prima essere concentrata su un oggetto, vi sono quaranta oggetti (nella lettura theravada) utilizzabili (disco di terra, acqua, fuoco, aria, il colore blu, luce, spazio ecc).

    Buddhanusmrti: (ricordo, reminescenza, rammentazione o consapevolezza) pratica per lo sviluppo del samadhi; richiamare le virtù del Buddha attraverso una lista di dieci oggetti; chi lo pratica si riempie di fede, comprensione, consapevolezza e merito, è felice e libero dalla paura, gli sembra di essere in presenza del Buddha e diviene degno di venerazione.

    Anche la contemplazione della morte viene ritenuta un oggetto su cui meditare.
    Secondo il monaco indiano Buddhaghosa chi volesse farlo dovrebbe andare a vivere in un luogo solitario e pensare intensamente: "la morte verrà" o "morte, morte". Se ciò non fosse sufficiente esistono altri otto metodi:
    – contemplazione della morte sotto forma di un assassiono, immaginando che esso venga a privarci della vita;
    – contemplazione della morte come la fine delle ricchezze e dei successi ottenuti in vita;
    – paragonarsi a coloro che sono già morti;
    – riflettere che condividiamo il nostro corpo con molte altre creature;
    – contemplazione della fragilità della vita e del fatto che richieda l'atto di respirare, il continuo alternarsi delle quattro posizioni (stare in piedi, stare seduti, camminare e sdraiarsi), che ci sia l'esigenza di un clima moderato e dell'equilibrio dei quattro costituenti fisici (terra, acqua, fuoco e aria);
    – la considerazione che non c'è certezza riguardo alla morte;
    – considerazione che la vita ha una durata limitata e breve;
    – contemplazione della brevità del momento, la vita è solamente una successione di momenti di coscienza.
    Tali riflessioni non mirano soltanto a indurre la consapevolezza della morte, ma uno stato di concentrazione che può essere utilizzato per comprendere la natura della realtà.
    Un monaco votato alla coltivazione della consapevolezza della morte è diligente, disciplinato, non è avido, è cosciente dell'impermanenza delle cose, della sofferenza e dell'assenza del sé.

    Tre tipi di saggezza:
    – la saggezza che nasce dall'ascolto: derivante dagli insegnamenti e dalla lettura dei testi;
    – la saggezza che nasce dalla riflessione: comprensione sviluppata attraverso un processo di riflessione continuo e sistematico durante la meditazione (quello della morte);
    – la saggezza che nasce dalla meditazione: comprensione associata al samadhi.

    "Meditazione sulle impurità": tipo di meditazione in cui si visualizza un cafavere in vari stadi di composizione; dieci tipi di cadavere (gonfio, livido, tagliato, roso, fatto a pezzi, mutilato e fatto a pezzi, sanguinante, comperto di vermi, ridotto a scheletro). Un altro tipo di meditazione sulle impurità consiglia di iniziare immaginando un piccolo cerchio di osso messo a nudo tra le sopracciglia che va ad ingrandirsi gradualmente fino alla visualizzazione completa del proprio scheletro, per poi passare ad una visione di tutto fatto di ossa, e poi procedere a ritroso fino a tornare ad un unico cerchio tra le sopracciglia.


    Il Tantra.

    Cinque secoli dopo la nascita del Mahayana, sorse un altro grande movimento chiamato Vajrayana (veicolo del diamante/fulmine), definito anche "tantra buddhista".
    "Tantra" indica generalmente un manuale di riti o una serie di istruzioni, contrapposto al termine sutra, considerati anch'essi insegnamenti del Buddha. La distinzione tra tantra e sutra sta nel fatto che i tantra li avrebbe segretamente impartiti il Buddha ad un gruppo di discepoli scelti.
    Le origini del Vajrayana sono sconosciute, il termine fu coniato in seguito e va ad indicare pratiche diverse che permettevano di percorrere il cammino alla buddhità più rapidamente e permettevano d'acquisire poteri sovrannaturali.

    "Dodici prove di Naropa" (pag.181/182).
    Tra gli insegnamenti tantrici più famosi ci sono i "sei yoga di Naropa", che formano una combinazione di otto pratiche:
    – calore interiore;
    – chiara luce;
    – unione sessuale con la consorte;
    – yoga del sogno;
    – corpo illusorio;
    – trasferimento della coscienza;
    – stato intermedio;
    – introduzione forzata.

    Lo yoga del calore interiore si fonda su una fisiologia in cui i venti (energie sottili) servono da veicolo per la coscienza: questi scorrono attraverso una rete di canali rendendo possibile ogni cosa (movimenti, attività celebrale ecc.). Il più importante è il canale centrale che va dai genitali alla sommità della testa, ad esso sono paralleli altri due canali che gli si avvolgono attorno creando occlusioni che impediscono al vento di scorrere liberamente. In questi punti (chiamati ruote o cakra) di occlusione si incrocia una rete di altri canali minori che si estende per tutto il corpo.
    Per lo yoga del calore sono importanti i cakra nella sommità della testa, nella gola, nel cuore e quello sotto l'ombelico.
    La pratica comporta la visualizzazione del cakra come fiori di loto e delle lettere luminose iscritte nei petali, esercizi di respirazione.
    La capacità di far entrare i venti nel canale centrale fa accedere il meditante a vari stati profondi di conoscienza, essenziali per l'ottenimento della buddhità, tra i quali "la mente di chiara luce", situata nel cakra del cuore. Dopo che la mente di chiara luce è stata riconosciuta nello stato di veglia è possibile accederci anche in sogno.

    Lo yoga del sogno è volto al riconoscimento e all'utilizzo della mente di chiara luce durante il sonno, a questo scopo vengono date istruzioni per imparare a controllare i sogni.
    Al termine della pratica lo yogin crea un corpo illusorio, formato dal vento e dalle mente, che al momento dell'illuminazione diventa il corpo fisico di un buddha. Prima di arrivare a ciò si pratica la contemplazione della propria forma e della forma del buddha in uno specchio, al fine di percepire la natura illusoria del corpo.

    I primi cinque insegnamenti mirano alla buddhità in questa vita, gli ultimi tre per dopo la morte (indirizzati a chi non c'è riuscito con i primi cinque).
    Se non ci si riesce c'è la pratica dello stato intermedio, in cui la mente di chiara luce viene riconosciuta e la buddhità raggiunta nel periodo intermedio tra la morte e la rinascita. Se anche questa fallisce ci sono istruizioni per ottenere una rinascita favorevole.

    I testi tibetani descrivono il processo di morte e rinascita in tre stati intermedi ("bardo", tra due):
    – il momento della morte (il primo e più breve), in cui sorge un profondo stato di coscienza (di chiara luce);
    – nel secondo si entra se la chiara luce non viene riconosciuta, bardo della realtà, dove la dissoluzione della personalità rivela la realtà sotto forma di un mandala di quarantadue divinità pacifiche e uno di cinquantotto divinitò irate;
    – bardo dell'esistenza mondana, in cui si rinasce in uno dei sei regni, la coscienza viene spinta verso l'appropriato luogo di rinascita dai venti del karma del passato.

    Il potere dello yogin tantrico deriva dalla trasgressione del comportamento puro, attraverso azioni che violano i voti monastici e le prescrizioni sulla purezza e la contaminazione.
    Chi conosce la natura della realtà non è vincolato a regole, la trasgressione indica il superamento delle leggi naturali. Chi conosce la vera natura del mondo è in grado di manipolarlo.

    La pratica tantrica produrrebbe due tipi di poteri (siddhi):
    – siddhi mondane (trasformare metalli in oro, scagliare maledizioni, arrestare il corso del sole nel cielo ecc.): gran parte della letteratura tantrica fornisce siddhi mondane, divise in quattro categorie di azioni (che pacificano, che accrescono, che controllano, azioni irate);
    – siddhi sovramondana della buddhità.

    Il Vajrayana non costituiva un veicolo separato, ma una forma alternativa del Mahayana, superiore al sentiero proposto dal mahayana. Anche detto "veicolo della perfezione".
    Gli autori di scritti a favore dei tantra elencarono molte motivazioni per cui questi andavano considerati superiori alle pratiche dei sutra, ma non ci sono due autori d'accordo tra di loro sui caratteri distintivi del tantra.
    Nella "Lampada dei tre metodi", Tripitakamala dice che i seguaci del veicolo della perfezione sono parzialmente illusi perché si spingono ad azioni estreme (non lo sono totalmente perché praticano le sei perfezioni) e non è questo il modo per realizzare la perfezione del dare (pag.185).

    Lo studioso tibetano Tsong Kha Pa, citando numerosi testi indiani, indicò un unico fattore di differenza tra tantra e sutra: la pratica dello yoga della divinità, in cui ci si visualizza come un buddha.
    Specifica che la buddhità ha due aspetti:
    – corpo di verità: la mente onniescente di un buddha, prodotto dalla saggezza che si acquisisce con la meditazione sulla vacuità (che significa emulare il corpo di verità di un buddha);
    – corpo della forma: la forma con cui si manifesta sulle terre, prodotto dal metodo il quale comprende la pratica delle forme illimitare delle sei perfezioni.
    La superiorità del tantra non sta nella saggezza.

    Vennero applicate numerose strategie per legittimare i tantra come insegnamenti autentici. La loro tardiva comparsa fu giustificata con il fatto che questi furono nascosti al tempo del Buddha per essere scoperti e rivelati in un periodo più propizio.

    Il sentiero tantrico viene presentato com il completamento del sentiero dei sutra, fornendo cià che serve al raggiungimento della meta (la buddhità). Rimanendo sul sentiero dei sutra si prolungala permanenza nel samsara.

    Per potersi applicare alle pratiche tantriche occorre un'iniziazione e una cerimonia. Prima dell'iniziazione il guru tantrico predispone il luogo, cacciando i demoni e tracciando un cerchio magico di protezione. Prepara un mandala usando un'immagine e il quale va a rappresentare il mondo perfetto in cui gli iniziati entreranno, restando loro nascosto fino al momento appropriato. Prima di riceve l'iniziazione, gli iniziandi prendono i voti del bodhisattva.
    Durante l'iniziazione il guro assume il ruolo di Buddha e come tale va considerato (vi sono infatti una serie di trenta infrazioni da non compiere nei confronti del guru).
    L'iniziazione vera e propria viene chiamata "entrare nel mandala".
    Mandala: considerato uno spazio sacro dell'illuminazione, presieduto dal guru.
    L'iniziazione assicura l'ottenimento della buddhità, ma non di certo quale buddha si diventerà. Per saperlo in anticipo, a volte, l'iniziato getta un fiore in un altro mandala in cui sono rappresentati cinque buddha.
    Molti elementi per l'iniziazione e la pratica tantrica comportano l'assorbimento e l'emanazione di un mondo coperto dei gioielli dei sutra mahayana. Nel sutra questi appaiono su comando del Buddha. Nei tantra è il praticante che il manifesta attraverso la visualizzazione (processo di invio, discesa e identificazione).
    La pratica tantrica è quindi la creazione del mondo dei sutra mahayana.
    Da accesso a una realtà più reale del mondo, accessibile agli illuminati. La vacuità è libera dai limiti dell'io e del mio che da accesso alla realtà supersiore, conferendo il controllo sulla realtà ordinaria.
    In questa visione il mondo è un mandala, un palazzo con un buddha seduto al centro. Quando un buddha appare, il mondo si manifesta come un mandala ingioiellato.
    Il mondo perfetto del mandala è la meta e anche il sentiero.
    La buddhità è raggiunta nel momento in cui il mandala non ha più bisogno di venire creato, la sua visualizzazione è completamente oggettivata. Il meditante diventa un buddha e non ha più bisogno di apparire nel mandala, ma continua a farlo per compassione.

    Sadhana: pratiche tantriche quotidiane, seguono uno schema fisso.
    In molti il meditante immagina una luce che irradia il suo corpo per convocare buddha e bodhisattva da tutto l'iuniversa. Visualizzandoli schierati di fronte a sé esegue una serie di pratiche preliminari tra cui orrire all'assemblea un bagno e abiti puliti e il "culto in sette parti" (una sequenza di sadhana e preghiere):
    – omaggio, esprime rispetto alle divinità;
    – offerta, si conclude spesso con l'offerta dell'intero universo con tutte le sue meraviglie;
    – confessione delle cattive azioni, compiendo atti purificatori;
    – ammirazione, che consente di accumulare gli stessi meriti della persona che ha effettivamente compiuto quelle azioni virtuose;
    – richiesta al buddha di non entrare nel nirvana;
    – supplica, di insegnare il dharma;
    – dedica dei meriti.
    Il meditante prende rifugio nei tre gioielli, genera l'aspirazione all'illuminazione e la promessa di raggiungere la buddhità per liberare tutti gli esseri dell'universo dalla sofferenza, e dedica a questo scopo i meriti delle pratiche precedenti e successive. Per poi passare a coltivare le quattro pratiche dell'amore, compassione, gioia e equanimità, prima di meditare sulla vacuità e di recitare il mantra di purificazione, con la comprensione che la vacuità è la natura originaria di tutte le cose. A partire da questo il meditante crea il mandala.

    Dalla vacuità viene creato un universo immaginario.
    Le basi sono costituite dai quattro elementi (aria, fuoco, acqua e terra), rappresentati da sillabe sanscrite. In cima ad esse si visualizza il mandala.
    Mandala, in sanscrito "cerchio", nel contesto del sadhana indica la dimora di un buddha, un palazzo meraviglioso.
    I mandala possono essere sia semplici che complessi.
    Essenziale era ritenuto immaginare il palazzo del buddha visualizzando con perfetta chiarezza tutti gli elementi che lo componevano. La visualizzazione infatti veniva guidata da delle descrizioni e i meditanti venivano istruiti a studiare l'immagine di un buddha e di un mandala precisi (uno degli scopi per cui venivano utilizzati dipinti e statue nella pratica meditativa).
    Il passo successivo consiste nell'animare le figure presenti nel mandala. I veri esseri (buddha, bodhisattva) discendono nelle loro immagini visualizzate e si fondono con esse. Le figure vengono poi benedette con le tre sillabe:
    – om, bianca sulla sommità del capo;
    – ah, rossa sulla gola;
    – hum, blu sul cuore.
    Ora che la scena è completa, si può passare alla meditazione centrale.

    Il tantra è spesso presentato come lo "yoga del sesso".
    L'uomo rappresenta il metodo e la donna la saggezza: devono unirsi per raggiungere la buddhità.

    Con la sistematizzazione dei tantra si stabilirono diversi gruppi di tantra (quello dell'azione, il meno elevato; quello del completamento, tantra yoga, yoga supremo, i più elevati).
    Sistemi gerarchici sostenuti in particolar modo dai seguaci del tantra dello yoga supremo.
    La presenza di tale schema indica un numero sufficiente di testi e di scuole per proter proporre una gerarchia.
    Secondo il "Samputa tantra", le quattro classi sono suddivise in relazione alla capacità dei rispettivi iniziati di utilizzare il desiderio lungo il sentiero. I seguaci del tantra dell'azione sapevano utilizzare il desiderio suscitato dal guardare l'amata; il seguaci del tantra del completamento sapevano utilizzare anche il desiderio suscitato da uno scambio di sorrisi.
    Il contatto delle mani era consentito ai seguaci del tantra yoga, ma solo i praticanti più avanzati (quelli dello yoga supremo) sapevano utilizzare l'unione sessuale.
    "I quattro tantra dimorano nel regno degli insetti": il desiderio prodotto dall'unione sessuale può venire usato per distruggere il desiderio che imprigiona gli esseri del samsara.
    L'unione sessuale poteva portare all'ottenimento dell'illuminazione.

    Molte pratiche tantriche non fanno cenno dell'unione sessuale e nemmeno accennano al desiderio.
    Ad esempio i praticanti del buddhismo tibetano Cho frequentano i cimiteri e altri luoghi pieni di pericoli, dove piantano una tenda, eseguono una danza, suonano un tamburo e una tromba.
    Nei testi Cho si elencano quattro tipi di demoni:
    – demoni tangibili, forze dannose presenti nel mondo esterno;
    – demoni intangibili, stati mentali negativi;
    – demone del compiacimento;
    – demone della presunzione.
    Nella pratica il meditante visualizza la propria coscienza nella forma della dea Vajrayogini, che risiede nel canale centrale. Essa viene fatta uscire dalla sommità del capo ed il meditante immagina il proprio corpo afflosciarsi privo di vita. La dea recide la calotta cranica del meditante e la trasforma in un calderone in cui il corpo stesso viene gettato, producendo un elisir che viene offerto a tutti ibuddha e bodhisattva, agli esseri senzienti e agli spiriti benefici e malefici. Queste offerte vengono dette "quattro banchetti": bianco, variegato, rosso, nero. In questo modo si recide l'attaccamento al corpo, e il risultato è la saggezza.

    Dal buddhismo principale indiano deriva la parte riguardante l'accumulo dei meriti, dal mahayana la pratica della perfezione del dono, e dall'esempio del Buddha stesso viene la pratica del recidere l'attaccamento al corpo incarnata nella vita del mendicante.


    La Terra Pura.

    Nel buddhismo è diffuso il pensiero che buddha e bodhisattva vadano e vengano, che un nuovo buddha faccia la sua apparizione solo quando gli insegnamenti di quello precedente sono scomparsi.
    Maitreya apparirà solo quando scompariranno gli insegnamenti di Sakyamuni.
    Alcuni credenti cercavano di posporre la loro entrata nel nirvana per poter rinascere ai tempi di Maitreya, altri svilupparono pratiche alchemiche per allungare la vita.
    La scomparsa del dharma è sempre stata vista con timore, portando all'introduzione di innovazioni dottrinali.
    Si crede che negli ultimi momenti precedenti alla scomparsa del dharma tutti i testi buddhisti scompariranno, le vesti color zafferano diventeranno bianche (il colore dei laici) e che tutte le reliquie del Buddha lasceranno i reliquari per riunirsi a Bodhgaya, dove i sedici arhat che hanno protetto il dharma le raccoglieranno in un unico stupa sotto l'albero della bodhi, dove verranno adorate per l'ultima volta per poi prendere fuoco e svanire, come faranno anche gli arhat.
    Le profezie descrivono un graduale processo di declino nella qualità dei discepoli (non dell'insegnamento quindi). Alcuni testi descrivono il declino sotto forma di profezia del Buddha, eventi che dovevano essere già attuali, quindi già in atto e che quindi il disastro era imminente.
    La principale reazione alla scomparsa del dharma fu la pratica della Terra Pura.
    L'unica risorsa era affidarsi ai poteri di Amitabha, che nel suo diciottesimo voto aveva promesso di condurre tutti coloro che invocavano il suo nome nella Terra della beatitudine.
    La pratica centrale è il "nianfo" (contemplazione del Buddha, recitazione del Buddha e invocazione del Buddha). Nella primitiva tradizione indiana e nel Theravada, era una forma di meditazione in cui si richiamavano alla mente le qualità del Buddha.
    Tecnica efficace per indurre tale visione era la recitazione del suo nome. Avveniva in una situazione rituale strutturata, con prostrazioni, incensi, confessione delle colpe, recitazioni e pratiche di visualizzazione.
    In Cina, la pratica della Terra Pura, si svolge in uno spazio puro, davanti a un altare su cui è collocata un'immagine del Buddha. Si inizia offrendo incenso e pregando. I tre gioielli sono invitati a entrare nel tempio sotto forma di buddha, sutra e avitanti della terra pura. Ogni buddha e bodhisattva vengono venerati individualmente, con prostrazioni e lodi.
    I meriti accumulati con la celebrazione del rito vengono dedicati al bene di tutti gli esseri e tutti si impegnano a rinascere nella terra pura per portare a termine rapidamente il sentiero.
    Ogni momento del rito era dedicato alla contemplazione delle qualità di Amitabha. alla recitazione del suo nome e alla sua visualizzazione. Era vietato parlare se non strettamente necessario ai fini del rito.

    Grande attenzione rivolta al momento della morte.
    Si dice che il momento della morte sia così traumatico che il morente è incapace di rivolgere la mente all'ignoto, volgendosi invece a ciò che conosce. Perciò la necissità era di avere continuamente il nome di Amitabha sulle labbra (pag.199).
    Benché la rinascita fosse assicurata, nella terra pura c'erano però distinzioni di tempo e di luogo. Venne elaborata una gerarchia di salvati che comprendeva nove livelli di devoti. Le azioni della vita passata determinano lo status nella vita futura.

    In Giappone la recitazione del nome di Amitabha è "namu amida butsu", veniva usata come mezzo per proteggere i vivi inviando gli spiriti dei morti nella terra pura, considerata quindi infausta.
    Una delle tante pratiche Tendai e Shingon.
    Il nembutsu come mezzo rivolto ai vivi per poter rinascere alla morte nella terra pura era attribuito al monaco Kuya, che lo recitava nel mercato di Kyoto, battendo su un gong e danzando.

    Istruzioni del monaco tendai Genshin (pag.200).
    Il morente viene esortato a vedere solo il Buddha, a sentire solo il dharma, a parlare soltanto degli insegnamenti e a pensare soltanto alla rinascita nella terra pura.
    Dieci riflessioni di Genshin:
    – riflessione sulla non dualità ultima di nirvana e samsara, per capire che l'ignoranza ultima nasce nella mente di tutti i buddha, quindi recitando "namu amida butsu" si riflette sulle qualità dei tre gioielli;
    – il morente deve provare un senso di stanchezza nei confronti del ciclo di rinascita, vedendo in Amitabha il potere di distruggere il karma si deve aspirare nella sua apparizione recitando il "namu amida butsu";
    – riflettere che se non si nascerà nella terra pura, si rinascerà come animale, fantasma o essere infernale, si deve quindi aspirare a rinascere nella terra pura recitando il "namu amida butsu";
    – ricordare tutte le buone azioni compiute in passato e dedicare tutti imeriti acquisiti alla rinascita nella terra pura e lo si fa recitando il "namu amida butsu";
    – pensare che lo scopo della rinascita nella terra pura è quello di diventare un buddha, si deve quindi confermare il voto del bodhisattva recitando il "namu amida butsu";
    – riflettere sul fatto che le virtù di Amitabha sono incalcolabili e che tutti i buddha delle dieci direzioni le celano continuamente, si deve quindi prendere rifugio come mente concentrata in Amitabha recitando il "namu amida butsu";
    – visualizzare Amitabha in tutti il suo splendore, concentradosi sul ricciolo tra le sopracciglia (urna) recitando il "namu amida butsu";
    – riflettere che la mente di tutti coloro che vengono toccati dalla luce che irraggia dall'urna si libera dall'attaccamento e rinasce nella terra pura recitando il "namu amida butsu";
    – sapere che Amitabha sta irraggiando luce dall'urna e si sta avvicinando al letto di morte accompagnato dai sui due bodhisattva principali recitando il "namu amida butsu";
    – ricordare al morente che sta per avere il suo ultimo pensiero, il più importante, che deve essere rivolto ad Amitabha (se non lo farà sprofonderà nuovamente nel samsara), si deve quindi desiderare di essere guidati nella terra pura recitando il "namu amida butsu".

    Durante il periodo Kamakura, il monaco Hounen disse che la recitazione del nome di Amitabha era l'unica via di salvezza.
    Il suo discepolo Shinran, che lo seguì in esilio, capovolse il detto di Hounen dicendo che se un buono può rinascere nella terra pura maggiori dovevano essere le probabilità di salvarsi per una persona malvagia. Solo l'ignorante ricerca dell'autogratificazione, ciò ostacola la realizzazione del voto di Amitabha. La salvezza non si ottiene alla morte, ma nel primo istante di fede in Amitabha.


    Lo zen.

    Non ci sono testimonianze storiche di una scuola Zen in India, ma fa risalire le sue origini al Buddha (pag.204).

    Scuola cinese Chan.
    Il patriarca più celebre fi il sesto, Huineng (pag.205).

    Due modelli di illuminazione:
    – modello della purificazione, dove le afflizioni del desiderio, dell'odio e dell'ignoranza sono contaminanti per la "mente";
    – modello del riconoscimento, una cosa per natura pura non può venire contaminata, la natura non è circoscritta in un luogo fisico, è universale.
    Le mente è per natura illuminata e tutti gli esseri sono già buddha.
    Dicotomia comunemente nota come sentiero graduale e sentiero improvviso.
    Il maestro Zongmi esaminò le due categorie e le varie combinazioni:
    – la coltivazione graduale seguita dall'illuminazione improvvisa;
    – la coltivazione improvvisa seguita dalla coltivazione graduale;
    – la coltivazione graduale accompagnata dalla coltivazione graduale;
    – l'illuminazione improvvisa accompagnata dalla coltivazione improvvisa;
    – l'illuminazione improvvisa seguita dalla coltivazione graduale.
    L'ultimo era il modello preferito di Zongmi.

    Gli indiani sostenevano che l'illuminazione avviane al culmine di un processo graduale di purificazione, come risultato del comportamento virtuoso.
    I cinesi sostenevano che l'illuminazione è la natura intrinseca della mente e non l'arrivo di un lungo sentiero.
    Il che portò a dibattiti tra le due scuole di pensiero che vide come vincitore la filosofia indiana (infatti i tibetani si rivolsero a questa, distaccandosi dalle scuole cinesi).
    Il Chan si diffuse in Corea (chiamato Son) e in Giappone (Zen).
    Caratterizzato da una rigida e rigorosa formazione monastica, con un preciso studio della letteratura buddhista e un modo di vita estremamente disciplinato.
    Sviluppò i propri testi attraverso una tradizione letteraria di raccolta e commento delle parole dei maestri illuminati. Testi che raccoglievano i dialoghi (resi noti come "casi pubblici", kung-an: koan) e gli scambi di detti.
    Le scritture zen vengono momorizzate, recitate, analizzate e spiegate come tutti i testi buddhisti.
    L'abilità di un monaco di commentare i koan divenne un mezzo per verificarne la comprensione. Vennero in seguito trasformati in strumenti per sviluppare la concentrazione, fermando il pensiero. Infatti Chan deriva dal sanscrito "dhyana", concentrazione.


    La meditazione sulla vacuità.

    La meditazione sul koan segue una sequenza di due parti: all'inizio ci si concentra nel tentativo di arrestare tutti i pensieri, ne segue il "senso" che rivela un lampo di intuizione.
    Alcuni studiosi tracciano un parallelo tra questo e la pratica tradizionale, nello sviluppare un profondo stato di concentrazione chiamato "tranquillità" (amatha), dove il pensiero discorsivo è tenuto sotto controllo, tenendo la mente sullo sviluppo della visione.
    La percezione diretta della realtà risulta indispensabile per ottenere la liberazione dalla rinascita.
    Secondo i testi madhyamaka percepiamo le cose come esistenti di per sé e in sé, in realtà l'oggetto è assente e questa è la sua vacuità (pag. 209).
    Se qualcosa esiste in sé e di per sé dovrà essere intrinsecamente uno o intrinsecamente molto. Qualunque oggetto grossolano non può essere intrinsecamente uno perché composto di parti. Niente è intrinsecamente uno e anche la molteplicità intriseca va negata. Persino il nirvana non è immune a questa critica, è permanente e non cambia, ma è formato da parti e quindi non è intrinsecamente uno.
    La tesi è che non si può trovare niente, tutto è vuoto, compresa la vacuità.
    Meditare sulla vacuità significa procedere a questo tipo di analisi, per farlo bisogno avere un'idea chiara di ciò che si cerca.
    Sei costituenti per ricercare il sé:
    – terra: comprende tutte le parti solide del corpo;
    – acqua: componenti liquide del corpo;
    – fuoco: calore corporeo, nel ventre;
    – aria;
    – spazio: cavità del corpo;
    – coscienza: a sua volta di sei tipi: dell'occhio che vede le forme, dell'orecchio che ode i suoni, del naso che annusa gli odore, della lingua che gusta i sapori, del corpo che percepisce contatti, coscienza mentale.
    La coscienza mentale è la più probabile per essere l'io. È mutevole, priva di permanenza e di autonomia. L'io non sarà trovato, è assente, è una vacuità.

    Edited by Yama e bbasta - 18/1/2021, 16:22
     
    Top
    .
0 replies since 18/1/2021, 12:46   19 views
  Share  
.